QUELLA SOTTILE LINEA ROSSA CHE UNISCE LA SECONDA STELLA DELLA JUVENTUS AL QUATTORDICESIMO SCUDETTO DELL’INTER

La Sentenza di primo grado Giraudo è, a parer mio, la più completa di tutte le Sentenze che hanno riguardato lo scandalo Calciopoli. Chiunque voglia farsi una idea completa di ciò che è successo nel campionato 2004/05 altro non deve fare che leggersi le prime 100 pagine di quella Sentenza. Li troverà un piacevole ed interessante compendio degli avvenimenti. In particolare è interessante leggere ciò che è scritto a pagina 55 dove si parla dell’incontro che avvenne il 21 maggio 2005. In quel momento la Juventus aveva già battuto il Milan a San Siro e “da questo momento le conversazioni assunsero un altro tono ed un altro contenuto, proiettandosi maggiormente verso il futuro dei designatori, argomento cui fu dedicato l’incontro del 21 Maggio”. L’incontro fu tra Bergamo, Moggi, Giraudo e Mazzini e se ne ha un resoconto grazie alle telefonate intercettate che Bergamo ha avuto con la sua amica consigliera la Fazi (chi era la Fazi, rimando a questo articolo qui scritto da un amico juventino, uno dei pochi con cui ho avuto il piacere di collaborare https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=pfbid02LYWf7inZ2ooHWnPP5XheSFzehwBSUJ21tUBTgBHsbR9UEcYGciGskjArkvr1Jzv7l&id=100038339533455&__cft__[0]=AZWN0-j5TKusfmIjE7GHWV-KHp2-BhprlD7uP0sgo-NMn8edUNYorcWNJOifmQ5yRiilfOHm06tsJuflrq0OQZeaPS9cBSnvJ1tSS2fP_hfOaR12M6ravAU4WHAPTKGRmpokiWUtNh9KlXcWxdH8c97_3OSalp_FBlyGmSvy_QQIjPTxw_ZU442fTzgvF3drrP8&__tn__=%2CO%2CP-R ). Interessante il passaggio a pagina 56 e 57: “Il designatore confidò, altresì, ai due dirigenti di aver scritto una relazione per Carraro nella quale evidenziava che non vi erano le condizioni per la sua riconferma ‘gli ho detto che Carraro s’è messo contro di loro e io non sono un traditore… questa è la relazione che gli ho fatto … loro sono rimasti sconvolti’ Giraudo disse: … questa è una dismissione anticipata e …. Avete fatto un ottimo lavoro … sconsigliandolo dal presentarla effettivamente e raccomandandosi di ripensarci”. Di quale relazione si parla? Probabilmente della relazione che ha ordinato Carraro a Bergamo e Pairetto su tutti i torti arbitrali nel campionato 2004/05 subiti da tutte le squadre di cui oltretutto si parla in questa intercettazione sapientemente e gentilmente messa su You Tube dagli amici di Ju29ro:

È poi interessante leggere ciò che Bergamo dice alla Fazi sui rapporti con Antonio Giraudo:”gli ho detto … Antonio … devo ringraziarti perché in momenti in cui con il mio lavoro mi sono dedicato tanto a questa cosa, che ho avuto bisogno di un tuo aiuto me lo hai dato ed io di questo ne sarò sempre grato, non perché io pensi di essere andato li, perché mi ci hai messo te, perché io avevo presentato un bel progetto e voi l’avete condiviso, mi ero guadagnato la vostra fiducia e voi me l’avete data e credo di essermela mantenuta … però nel momento in cui mi accorgo che devo tradire non me la sento …”.

In seguito, si legge a pagina 57, Bergamo informò dell’esito dell’incontro anche Pairetto ed alla domanda di quest’ultimo circa l’esito rispose “direi proprio bene .. si .. bene”, in seguito parlò con un amico ed alla richiesta: “ma ti hanno confortato per il futuro o no?” rispose affermativamente, aggiungendo “.. ma sono stato molto ripreso poiché i fatti che ho fatto non dovevo farli ..” precisando: “io ho detto a queste condizioni non è più possibile ma … da parte loro c’è pieno consenso, di più…”. Da quello che possiamo evincere da queste telefonate è, come oltretutto anche scritto a pagina 58 della Sentenza, oltre che anche a pagina 21 della stessa, che oggetto di questa riunione è stato il futuro dei due designatori che ovviamente ambivano a rimanere all’interno della FIGC sebbene fossero oramai alla fine del loro mandato. Deve osservarsi che Bergamo aveva legittimamente parlato a riguardo con il Presidente Carraro e di ciò ne aveva informato i dirigenti della Juventus venendo quindi meno ad un dovere di riserbo e, al contempo, al fine di cercare di ottenere il loro consenso, li informò anche dell’avversità da parte di Carraro (“io non sono un traditore”). Deve anche osservarsi che questa relazione con tutti i torti arbitrali subiti da tutte le squadre Bergamo ha sconsigliato di presentarla, a chi non si sa. Di fatto per ciò ha ricevuto l’encomio di Giraudo (“avete fatto un ottimo lavoro”). È curioso che fino ad oggi nessuno ha chiesto lumi su questa “Relazione”. Alla nota 48 di pagina 57 della Sentenza di primo grado Giraudo è scritto che è allegata all’interrogatorio di Bergamo. La cercheremo.

Di certo come è scritto a pagina 58, se ne deduce una certa riconoscenza da parte di Bergamo nei confronti di Giraudo oltre che un legame forte e duraturo fra i due: “il designatore era stato a disposizione del dirigente Juve ed implicitamente ma chiaramente si dichiarò pronto a continuare in questo comportamento e che gli interessi comuni dei due avevano grande spessore, essendosi, del resto sostanziati nelle continuative relazioni e negli interessi illeciti di cui si è già scritto e di cui si tratterà ancora avanti.

Per quanto riguarda in particolare Giraudo ne va, conseguentemente, sottolineato la posizione di notevolissima influenza che egli ebbe nei confronti di Bergamo, che si legge esplicitamente nelle stesse espressioni di costui e quindi l’importanza del suo contributo al raggiungimento degli scopi illeciti perseguiti in comune dagli uomini coinvolti nella cogestione delle cose del calcio”.

Questo appena narrato non fu però il primo incontro in cui si discuteva del futuro della classe arbitrale e in particolare dei nuovi organici. Come si legge a pagina 44 della Sentenza di primo grado Giraudo, Il 14 Febbraio 2005 al Consiglio Federale, nel quale sedeva Giraudo in qualità di Consigliere Federale della FIGC, fu rieletto Carraro. Fu quella l’occasione da parte del Vice Presidente Mazzini per farsi promotore di un’altra riunione che avvenne il 17 Febbraio fra Mazzini, Pairetto, Moggi, Giraudo e Lanese (Presidente dell’AIA) a casa del primo. L’oggetto dell’incontro si desume da una intercettazione fra Moggi e Mazzini in cui quest’ultimo disse:”certo però noi la mano che … che cosa abbiamo fatto per Carraro, ragazzi … ora però c’è da fare gli organigrammi”.  Come commentare tale incontro se non con le stesse parole che sono scritte a pagina 45 della Sentenza: “Gli appartenenti a segmenti diversi del calcio, che avrebbero dovuto pensare ed agire in modo separato rispettando ciascuno le proprie competenze, scelsero, invece, di concordare i nuovi assetti organizzativi del massimo Ente di governo delle cose calcistiche, con conseguenze sul regolare e buon funzionamento dell’organo in questione immaginabili.

Inoltre, ciascuno di essi, intorno al tavolo che si può immaginare, portò il suo interesse specifico: gli juventini erano in corsa per la vittoria finale nel campionato, Pairetto, anch’egli interessato alla riconferma e responsabile della scelta giudici di gara, era illegittimamente con loro; Lanese rappresentava la categoria di cui era presidente ed assicurava la sua coesione e disponibilità ai desiderata del gruppo di comando, Mazzini usava del suo alto incarico in Federazione e delle relazioni che ne conseguivano per scopi di parte e non istituzionali, nel contempo garantendo che gli altri avessero ingresso nelle cose federali e trovassero nell’Ente una sponda per la realizzazione dei propri programmi.

La commistione dei rispettivi incarichi e funzioni è elemento seriamente indiziante del forte legame esistente tra tutti gli imputati in ossequio ed adempimento del quale ciascuno abdicava a parte delle sue legittime prerogative, per portare avanti un comune programma di iniziative illegittime e di illecite, e realizzando il quale ognuno avrebbe trovato il suo tornaconto”.

In altre parole, i due designatori volevano comunque rimanere in Federazione (in FIGC si guadagnava bene) seppur con un altro ruolo perché non potevano essere rieletti come designatori e quindi cercavano l’appoggio dei potentissimi dirigenti della Juventus. E in cambio cosa potevano dare? A pensar male si commette peccato ma spesso si indovina, di certo la terzietà e imparzialità del mondo arbitrale era già compromessa per il semplice fatto che i designatori arbitrali si incontravano con i dirigenti di altre squadre per discutere del futuro degli organigrammi e degli assetti arbitrali.

Illuminante è a riguardo ciò che è scritto a pagina 93 della Sentenza sportiva di primo grado Calciopoli: “L’incontro di esponenti del mondo arbitrale (Lanese, Pairetto e Bergamo) con dirigenti di una squadra di calcio (Moggi e Giraudo), avvenuti, secondo quanto sostenuto da alcuni incolpati, al solo fine di parlare di problemi relativi all’assetto della categoria, in previsione delle modifiche alla struttura del settore , è involgente inoltre la posizione che nel nuovo assetto avrebbe acquistato i soggetti interessati, è sicuramente comportamento censurabile sotto il profilo della correttezza, perché l’unico interesse che può muovere un dirigente di una squadra a partecipare ad un incontro avente un tale oggetto è quello di assicurarsi una strutturazione del settore che in prospettiva gli sia favorevole, mentre qui per gli appartenenti a settore arbitrale le premesse per un futuro debito di riconoscenza”.

Il tutto credo che sia a dir poco lapalissiano. Come sono poi andate le cose non lo possiamo sapere, mancano le intercettazioni che si concludono con la fine del campionato, di fatto sappiamo che il duo Pairetto Bergamo non trovò conferme negli assetti arbitrali del campionato 2005/06, Pairetto rimase, finché non fu travolto dallo scandalo Calciopoli, vicepresidente della Commissione Arbitrale dell’UEFA mentre invece Bergamo continuò a far parte della Commissione arbitrale FIFA fino al 2006. Chi divenne designatore arbitrale nel campionato 2005/06? Tale Mattei. Innanzitutto cerchiamo di capire come viene eletto il designatore arbitrale. Attualmente è sufficiente andare in rete per scoprire che Rocchi è stato rieletto designatore dal Comitato nazionale dell’AIA, valutate le proposte di nomina del presidente Alfredo Trentalange (fonte https://www.calcioefinanza.it/2022/07/03/rocchi-designatore-serie-a/ ). È molto probabile che la stessa procedura o comunque procedure simili venissero attuate nel 2005 quando fu nominato Mattei, in altre parole Mattei fu nominato dal Comitato nazionale dell’AIA valutate le proposte di nomina del presidente Lanese, quello che ha partecipato a queste riunioni sottobanco qui, quello che disse ad Ingargiola che gli segnalò telefonicamente l’Incursione nello spogliatoio di Gianluca Paparesta, di non dire e fare niente, ricevendo l’assenso di quest’ultimo. Ma chi è Mattei? Per capirlo bisogna ritornare al campionato 1981/82 quando all’ultima giornata Juventus e Fiorentina erano appaiate in testa a 44 punti e mentre Pieri padre (il figlio fu coinvolto in calciopoli e assolto solo perché ebbe il buon gusto di parlare con Moggi solo su schede svizzere non venendo mai intercettato) arbitrò Catanzaro Juventus negando un rigore grande quanto una casa al Catanzaro nel primo tempo e concedendone uno alla Juventus nel secondo, il nostro Mattei annullò un gol regolarissimo alla Fiorentina che giocava a Cagliari. Questo era Mattei. Possiamo dirlo, lo scudetto della seconda stella della Juventus fu anche grazie ad un suo errore. Errore voluto, non voluto? Prove non ne abbiamo, ognuno è libero di pensarla come vuole, certo che due errori in contemporanea ed entrambi a favore della Juventus provocarono una certa ilarità da parte del mitico Gianni Brera e non solo da parte sua.    

E come può aver svolto il suo operato nell’anno in cui è stato designatore arbitrale? Intercettazioni non ne abbiamo, però una testimonianza si, è quella di Romeo Papaesta il padre di Gianluca resa nel processo penale Moggi il 19.05.2009 quando raccontò che coltivava il sogno di poter rientrare nel mondo del calcio e di questo sogno ne parlò con Lanese, sempre lui, il quale lo fece avvicinare a Moggi affinché lo aiutasse. Romeo Paparesta infatti incontrò Moggi nella sua casa a Napoli nel Settembre del 2004 e qui Moggi gli parlò di arbitraggi sostenendo che il figlio andava sempre un po’ contro la Juve (infatti Romeo Paparesta raccontò al processo che aveva la sensazione che Moggi volesse tramite lui ammorbidire gli arbitraggi del figlio con la Juventus) e, promettendogli di interessarsi della sua situazione e delle sue ambizioni, gli chiese un favore: guardarsi le partite delle due milanesi e delle romane che secondo lui erano sempre favorite dagli arbitri per poi riferirgli. Per questo incarico Moggi gli consegnò un telefono munito di scheda svizzera con all’interno memorizzati solo due nomi, quello di Moggi e quello di Fabiani. In questa maniera Romeo Paparesta divenne una sorta di confidente di Moggi e, per quanto riguarda il rapporto con i designatori, gli confidò che mentre il rapporto con il duo Bergamo Pairetto era condito di sospetti da parte sua perché i due in questione si professavano amici ma secondo lui non lo erano sempre, il rapporto con Mattei era “ottimale”. Mattei insomma, stante a quanto asserito da Romeo Paparesta al processo, si comportava con Moggi veramente da amico a differenza di Bergamo e Pairetto. La deposizione completa di Romeo Paparestra sta qui  e il discorso sul rapporto ottimale con Mattei inizia a 1h e 48 ma io consiglio di ascoltarla tutta.

Domanda: se quello che per non mostrarsi un traditore ha fatto cestinare una relazione sui torti arbitrali subiti da ogni squadra, secondo Moggi, dando per buone le dichiarazioni di Romeo Paparesta, diceva di essere amico ma non sempre si comportava da amico a differenza di Mattei, designatore arbitrale campionato 2005/06, con cui il rapporto era ottimale; se Mattei che è lo stesso che ha annullato un gol regolare alla Fiorentina nel campionato 1981/82 consegnando di fatto lo scudetto della seconda stella alla Juventus, è stato nominato designatore arbitrale dall’AIA il cui Presidente era Lanese, quello che si incontrava con Moggi e Giraudo e invitava Ingargiola a farsi i fatti suoi e probabilmente è stato nominato anche su sua proposta, secondo voi, il campionato 2005/06, quello non sottoposto ad indagine e di cui scudetto è stato vinto dalla Juventus ma poi revocato e assegnato all’Inter, che campionato sarà stato? Chiedo.

Ognuno è libero di farsi le proprie opinioni, prove non ne abbiamo, ci mancherebbe, però una cosa la possiamo dire con certezza: con Mattei si passò dal sorteggio per fasce alla designazione integrale, in altre parole Mattei quell’anno designava gli arbitri da mandare per ogni partita, niente più impicci di sorteggi che sicuramente, in quanto non alterati, avranno creato non pochi problemi al sodalizio nel campionato 2004/05. 

Come è beffardo il destino, Mattei da innocente perché prove contro di lui non ne abbiamo, ha regalato lo scudetto della seconda stella alla Juventus e sempre da innocente, in calciopoli non fu coinvolto, ha lavorato come designatore nel campionato dello scudetto vinto dalla Juventus e poi revocato e assegnato all’Inter.   

Cari juventini, anziché continuare a sfasciare gli zibidei con la Relazione Palazzi, fatemi sta cortesia, trovatemi la Relazione Pairetto Bergamo sui torti arbitrali subiti da tutte le squadre nel campionato 2004/05 redatta su ordine di Carraro e parliamone, vediamo, perché io non sono riuscito a trovarla, strano perché Ju29ro generalmente è molto generoso per quanto riguarda la documentazione su calciopoli e, soprattutto, prima di sparlare dello scudetto della seconda stella dell’Inter, sentite a me, guardatevi lo scudetto della vostra seconda stella. Una preghiera, prima di menarmi il pippone sul rispetto per la buon’anima di Mattei su cui io sono stato nell’arco di questo articolo ipergarantista, ho semplicemente esposto i fatti poi ognuno può trarne le sue conclusioni, vi ricordo che anche Facchetti è morto e voi continuate ad insultarlo da anni e in questi incontri lui non c’era. Buona vita.                    

De Laurentiis può escludere la Juventus dal Mondiale per Club ma ad una condizione. 

Salve a tutti, come ben sappiamo la Juventus, grazie alla sconfitta e l’uscita del Napoli contro il Barcellona in Champions League, ha conquistato il diritto di partecipare al prossimo Mondiale per Club a danno del Napoli. A quanto pare Aurelio De Laurentiis non ha accolto di buon grado questa notizia. Pare che al “Business of Football Summit [abbia] tuonato contro la Juventus ritenendo che una società condannata dalla UEFA ed esclusa dalle competizioni internazionali non dovesse essere presa in considerazione per il Mondiale per Club. Si pensava ad una delle tante uscite vulcaniche del patron partenopeo senza conseguenze. Ed invece, secondo quanto riportato da Radio Kiss Kiss, dalle parole il numero uno azzurro passerà ai fatti con un ricorso da presentare alla Fifa” (fonte https://sport.virgilio.it/napoli-de-laurentiis-fa-sul-serio-contro-la-juve-ricorso-alla-fifa-per-il-mondiale-per-club-853481 ).

In un altro articolo invece pare che De Laurentiis stia anche discutendo con i propri legali  riguardo l’eventualità di non ricorrere alla FIFA ma ad un altro tribunale sportivo (  https://www.sportmediaset.mediaset.it/calcio/napoli/napoli-ricorso-juventus-mondiale-per-club_79097695-202402k.shtml ).

Per me possono andare dove gli pare, anche da un Signor Rossi qualunque. Non credo che cambi molto. La FIFA, la UEFA o chi per loro che ha stabilito che la Juventus ha diritto di partecipare alla competizione mentre il Napoli no, lo ha fatto sulla base di delle regole che erano già note all’inizio. C’erano delle regole ben precise sulla base delle quali sono state stilate delle graduatorie e sulla base di queste graduatorie la Juventus si è qualificata per il Mondiale e il Napoli, piaccia o non piaccia, no. Il Sig. De Laurentiis, la Società Napoli, non sono nessuno per poter andare a dire agli altri ciò che gli altri devono fare. Il ricorso del Napoli avrebbe un senso se ci fosse una regola che stabilisca che le società che sono state escluse dall’Europa negli ultimi tot anni non hanno diritto a partecipare al Mondiale per Club. Può anche darsi che questa regola ci sia, io non lo metto in dubbio, in tal caso se c’è e non è stata applicata, De Laurentiis ha tutti i diritti di lamentarsi ma se questa regola putacaso non c’è, De Laurentiis non può pretendere che venga scritta per fare un favore a lui e che abbia pure efficacia retroattiva. Le leggi, i regolamenti, fatta eccezione per qualche raro caso nel campo tributario (per chi è interessato: https://www.tiburzibardelli.it/derogabile-il-principio-di-irretroattivita-delle-norme-tributarie/ ), non possono essere retroattive, valgono solo dal momento in cui sono state scritte e solo per regolare i casi futuri. È anche probabile che, di fronte a questo caso, per il futuro si possa emettere e poi applicare una regola del genere. Successe qualcosa di analogo per il Milan che vinse la Champions nel 2007 sebbene fosse partito in Serie A con una penalizzazione per i noti fatti di Calciopoli. In quel caso fu ammesso alla competizione perché non vi erano regole specifiche che glielo impedivano ( fonte https://www.eurosport.it/calcio/uefa-champions-league/2006-2007/milan-si-della-uefa_sto936641/story.shtml ). L’anno successivo la UEFA introdusse una regola che avrebbe impedito a squadre sanzionate per tali illeciti di partecipare alle competizioni da lei organizzate. Ovviamente è una regola che è valsa per il futuro. Invero, se questa regola si può applicare anche alla Juventus e sulla base di questa la società bianconera non può partecipare al Mondiale il ricorso che gli eccellentissimi avvocati di De Laurentiis staranno redigendo avrà sicuramente un senso, altrimenti avrà molto probabilmente lo stesso valore che ebbe un decennio e passa fa l’esposto che la Juventus, tramite i suoi legali, presentò alla UEFA chiedendo l’esclusione dell’Inter dalla Champions League. Come disse l’allora Presidente della UEFA Platini :“Se Andrea mi ha mandato un esposto, beh, avrebbe fatto meglio a risparmiare i soldi del francobollo.” ( fonte http://www.ju29ro.com/news/3451-platini-agnelli-poteva-risparmiare-i-francobolli-ne-stiamo-fuori-capello-rivendica-gli-scudetti ). Quindi, in conclusione: se c’è una regola che impedisce in maniera chiara la partecipazione ai Mondiali dei Club delle squadre che hanno subito determinate sanzioni e questa regola non è stata applicata allora l’eventuale ricorso di De Laurentiis ha un senso ed ha probabilità anche di essere accolto, altrimenti può evitare di spendere soldi inutilmente. Il punto di domanda quindi è: c’è questa regola? Io non l’ho trovata, sul sito della FIFA non c’è, sicuramente sono io che mi sbaglio, voi che invece siete più bravi di me la troverete, ne sono sicuro. Prego, incominciate da questo link https://inside.fifa.com/fifa-rankings/mundial-de-clubes e buona fortuna. Sono del parere che se questa regola esistesse l’avrebbero già applicata senza che il Sig. De Laurentiis scomodasse i suoi legali ma la mia è una mera opinione ed io posso sbagliare come tutti. Cordialità.

Il ricorso al TAR di Giraudo, il 12 marzo si riapre calciopoli?

Innanzitutto, come sempre, buongiorno a tutti. Ultimamente, per mio grande divertimento, gli juventini sono in grande fermento per questo famoso ricorso al TAR di Giraudo e, soprattutto, per questa udienza che si terrà il 12 marzo che sembra che, chissà in quale maniera, potrà sconvolgere il mondo del calcio, rivoluzionarlo, qualcuno addirittura parla, niente poco di meno, di una sentenza che potrebbe far tremare il mondo del calcio. La FIGC trema, mamma mia, quante eresie. Mettiamo subito in chiaro un concetto: ogni volta che voi leggerete “eresia” in questo articolo, dovrete intendere un altro termine di accezione più “virile”. Se io userò in questo articolo il termine eresia è solo perché mi sono sempre ripromesso di mantenere un certo stile. Allora, incominciamo col capire subito una cosa: per che cosa Giraudo ha fatto ricorso al TAR? Ma secondo voi, così, curiosità, potrebbe mai Giraudo fare un ricorso al TAR per far riavere i due scudetti alla Juventus? Ovvio che no, ma ci mancherebbe, mica li hanno tolti a lui gli scudetti, gli scudetti li hanno tolti alla Juventus ed è quindi la Juventus che dovrebbe agire – ma lo ha già fatto e gli è andata male – per farsi riavere i due scudetti. Per che cosa ha fatto ricorso Giraudo allora? Per ciò che riguarda lui, la sua radiazione. Lui non può fare ricorso avverso la Sentenza che ha revocato gli scudetti alla Juventus come non potrebbe fare ricorso avverso i punti di penalizzazione che hanno dato al Milan esattamente come la Juventus non può fare un ricorso di fronte a qualsiasi giudice affinché tolgano lo scudetto all’Inter e di esempi ne potrei continuare a fare tanti. Il ricorso di Giraudo riguarda esclusivamente la sua radiazione che Giraudo, come è umano che sia, vorrebbe che gli venisse revocata perché, per tanti motivi che comunque a noi non interessano, probabilmente (non capisco perché comunque dato che ha quasi 78 anni) vorrebbe ritornare nel mondo del calcio o forse per un qualsiasi altro motivo che in questo momento mi sfugge e che comunque non ci interessa. C’è un però: allo stato degli atti la sua radiazione è definitiva, una sorta di ergastolo calcistico per cui Giraudo non può più far parte del mondo del calcio. Perché la sua radiazione allo stato degli atti è definitiva? Perché sono stati esperiti tutti i gradi di giustizia sportiva e, con la legge attuale, la 280/2003 si può ricorrere alla giustizia amministrativa, da non confondersi con quella civile, quella penale e quella sportiva, sono cose diverse, esclusivamente per ottenere un risarcimento nel caso in cui, a parere del TAR, o, in appello, del Consiglio di Stato (la Cassazione c’è nella giustizia amministrativa ma ha compiti che per quel che ci interessa sono marginali ed è inutile che ve li spiego), la Sentenza emessa dalla Giustizia Sportiva sia considerata iniqua. Ai sensi dell’art. 2 lettera b) della legge 280/2003 infatti, i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive sono di pertinenza esclusiva della Giustizia Sportiva. Facciamo un esempio pratico che sicuramente i più ricorderanno: il ricorso al TAR avverso le Sentenza sportiva Calciopoli per disparità di trattamento fatto dalla Juventus. Se i giudici del TAR avessero putacaso accolto il ricorso, avrebbero condannato la FIGC a risarcire la Juventus. Non avrebbero potuto mai condannare la FIGC a restituire gli scudetti, sarebbe stata poi la Juventus, oramai vincitrice, a dover ricattare la FIGC dicendogli: ridateci gli scudetti e noi rinunciamo ai soldi e certo, e poi gli asini volano. Sappiamo tutti come è andata, il ricorso al TAR è stato respinto ed è inutile continuare a parlarne anche perché le motivazioni e i miei articoli a riguardo stanno in rete e chi vuole se li può andare a cercare. Torniamo al ricorso Giraudo. Giraudo vuole essere reinserito nel mondo del calcio o comunque vuole che la sanzione di radiazione inflittagli venga annullata, come fare? Deve far si, o meglio, i suoi legali, devono far si che la legge attuale che prevede che la giustizia amministrativa non possa entrare nel merito della sanzione sportiva, cambi. Come farlo? ricorrendo alla giustizia europea e chiedendo che questa legge venga cambiata per i motivi che in questo momento non mi permetto neanche di sindacare. Gli avvocati di Giraudo saranno sicuramente dei validi avvocati che avranno presentato un ricorso al TAR sicuramente di pregevole fattura. Il punto è un altro: il 12 marzo si discuterà di fronte al TAR di Roma se rimettere o meno di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea questa questione ossia se sia giusto o meno che la legge 280/2003 permetta al TAR al più di stabilire un risarcimento avverso le sentenze della Giustizia Sportiva senza avere la possibilità di riformarle. Ammettiamo pure che il TAR accolga le richieste dei legali di Giraudo, cosa pensate che possa mai succedere? Niente, che deve succedere? Sarà incardinato un procedimento di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che stabilirà se la legge 280/2003 sia in linea con i principi del diritto europeo oppure no. Supponiamo il caso che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea accolga il ricorso di Giraudo, io sono di mentalità aperta e comunque molto possibilista, sia chiaro, cosa pensate che possa succedere? Niente, che deve succedere? Molto probabilmente il Governo italiano riformerà la legge 280/2003 permettendo che la giustizia amministrativa (quella del TAR e del Consiglio di Stato) possano anche riformare nel merito le sentenze dei tribunali sportivi non limitandosi più ad un mero risarcimento. A quel punto, sempre che non decida direttamente la Corte di Giustizia UE (la sfera di cristallo mi manca), si riaprirà il processo di Giraudo di fronte al TAR che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe riformare in senso più favorevole per Giraudo la Sentenza con cui gli è stata irrogata la Radiazione e magari decidere che 5 anni di sospensione già abbondantemente trascorsi siano sufficienti. I “se” sono già molti ma voglio essere possibilista. In tutto ciò gli scudetti della Juventus non c’entrano niente. Pensare che la Juventus da questo ricorso al TAR intentato da Giraudo possa trarne vantaggio e riavere indietro i due scudetti è una grandissima “eresia”. Calciopoli è chiusa e, come disse Mughini, “non si riapre un beneamato cazzo”. Se usa Mughini questi termini, che è un grande intellettuale, perché non li posso usare io? Tengo comunque alto il livello dell’articolo citando Mughini, o no? Chiedo.

In un mondo parallelo, viaggiando con la fantasia, si potrebbe pensare che la Juventus, forte di questa ipotetica riforma della legge 280/2003, potrebbe intentare un nuovo ricorso al TAR chiedendo di valutare nel merito la Sentenza sportiva Calciopoli magari portando le “nuove prove” della Relazione Palazzi. E cosa cambierebbe? Premettendo che dubito che possa presentare un nuovo ricorso al TAR ma, a prescindere, portare le nuove prove (ricordo che, come più volte spiegato, la posizione di Moggi è molto più grave di quella di Facchetti, è inutile che ci giriamo intorno) non cambia la posizione della Juventus. Pensare che la presenza sul banco degli imputati anche dell’Inter nel processo sportivo Calciopoli avrebbe alleggerito la condanna alla Juventus è una grandissima eresia. Pensare che siccome c’era solo la Juventus nel processo sportivo Calciopoli i giudici si siano accaniti contro di lei è una grandissima eresia perché non c’era solo la Juventus, c’erano anche la Lazio, il Milan e la Fiorentina in quel processo. Se ci fosse stata anche l’Inter ce ne sarebbe stata un’altra che avrebbe pagato eventualmente per le sue colpe. Tutto qui. Quindi, cari juventini, smettetela di scrivere eresie in rete perché tanto, giova ribadirlo, come ha detto il vostro caro Mughini: “non si riapre un beneamato cazzo”. Calciopoli è chiusa e continuare a sperare di riaprirla è una grandissima “eresia”. Per riavere indietro i due scudetti, dovreste dimostrare che tutte le intercettazioni telefoniche che hanno fatto parte del compendio probatorio dei processi penali e sportivi di Calciopoli sono false o comunque assunte in maniera illegale. Cosa impossibile.

CONSIDERAZIONI SUI VARI COMMENTI INERENTI GLI SCONTRI FRA I TIFOSI DI NAPOLI E ROMA AVVENUTI IN AUTOSTRADA.

Salve a tutti. Anche oggi ho sono sentito alla televisione, su una rete privata, le solite amenità riguardanti la certezza della pena, la severità della stessa con il bisogno di inasprirle. Il tutto correlato al fatto che i presunti autori materiali dei disordini avvenuti sull’autostrada fra i tifosi di Napoli e Roma siano, in questo momento tutti liberi. E dove volete che stiano scusate, in carcere?

Allora, mettiamo subito in chiaro alcuni concetti: quali sono le ipotesi di reato previste allo stato dei fatti? Allo stato dei fatti i reati sono: interruzione di pubblico servizio, art. 350 c.p. e attentato alla sicurezza dei trasporti, art. 432 c.p.. Questo stando a ciò che è scritto in questo articolo che ritengo abbastanza attendibile:

 https://www.napolitoday.it/cronaca/scontri-ultras-napoli-roma-video.html .

Orbene, pur volendoci aggiungere anche il reato di rissa, art. 588 c.p., sono tutti reati che prevedono pene relativamente lievi.

Nell’ordine, per il reato di interruzione di pubblico servizio è prevista una pena che nel caso di specie è fino a due anni per i partecipanti e da 1 a 5 anni per i promotori.

Per il reato di attentato alla sicurezza dei trasporti è prevista una pena che va, nel caso di specie, da uno a cinque anni di reclusione.

Per il reato di rissa la pena è una semplice multa.

Orbene, mettiamo subito in chiaro un concetto di fondo sostanziale: la pena che si applica è sempre la minima. Quanto più la pena si discosta dal minimo edittale quanto più deve essere fornita adeguata giustificazione nelle motivazioni della sentenza.

Secondo voi quanto rischiano oggettivamente i vari partecipanti agli scontri? Ve lo dico subito io: non più di due anni di reclusione e sto esagerando e sto prendendo in considerazione anche l’eventualità che possa intervenire l’aggravante di cui all’art. 61, numero 11 septies, c.p. ossia: “l’avere commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni” che come tutte le aggravanti “semplici” aumentano la pena di un terzo. E quindi? Per una pena che, considerando il fatto che sulla base della prova schiacciante dei filmati molti opteranno per il patteggiamento o per il rito abbreviato, non supererà (fatta eccezione per i promotori del reato atteso che si trovino) mai i due anni di reclusione dove volete che aspettino la sentenza definitiva? In carcere? Ma voi siete pazzi. Fino a quando ci sarà la sentenza definitiva passano tranquillamente un 5-7 anni (questi reati si prescrivono in 7 anni e mezzo), voi cosa volete fare, far passare una persona in carcere 5 anni della propria vita per poi dargli 2 anni di reclusione? Ma siete impazziti? È chiaro che sono liberi, è chiaro che continuano a godere della libertà, è ovvio.

Qualcuno potrà anche dire: vabbè almeno una misura cautelare. Questo è l’errore che commettono molti, il pensare che la misura cautelare possa essere un anticipo della pena. No, la misura cautelare serve solo a scongiurare il pericolo di fuga, la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove. Per quanto riguarda il pericolo di fuga esso non sussiste in quanto nessuno fugge per evitare una pena ad un massimo di 2 anni di reclusione, pena che, se incensurati, verrà sospesa o, in caso contrario, sostituita con qualche pena alternativa come  la messa alla prova e i lavori di pubblica utilità che estinguono il reato e sono volti alla riparazione del danno o, al più, i domiciliari. Per quanto riguarda l’inquinamento delle prove il problema neanche si pone. Le prove sono i filmati, stanno li, in mano alla procura e non si possono manomettere. Nota bene: solo quelli identificabili al di là di ogni ragionevole dubbio dai filmati potranno essere condannati, gli altri no. L’unica ipotesi che rimane è la reiterazione del reato ma per quello è sufficiente a mio avviso una misura cautelare come l’obbligo di firma quando gioca il Napoli o la Roma e probabilmente sarà applicata o è già stata applicata. Ci terrei comunque a mettere in chiaro che la misura cautelare si può applicare perché la pena prevista è nel massimo superiore ai 3 anni di carcere altrimenti il problema neanche si porrebbe. È assolutamente inutile pensare ad altre misure cautelari quali gli arresti domiciliari o peggio la custodia cautelare in carcere anche perché tali permanenze in carcere o a casa poi verrebbero scomputate dalla pena definitiva. Spiego meglio: Tizio passa 5 anni a casa in misura cautelare in attesa della sentenza definitiva. La sentenza definitiva lo condanna a 3 anni di reclusione. Che fa, li sconta questi tre anni di reclusione? No, li ha già passati a casa anzi, lo stato, cioè noi, gli deve risarcire almeno gli altri 2 anni in più che ha passato ai domiciliari (tralasciando poi istituti come la liberazione anticipata per buona condotta). E se gli danno 6 anni? Ne deve scontare solo un altro e poi vediamo come (se sono meno di due anni da scontare si accede sempre alle misure alternative). In altre parole, piaccia o non piaccia, per questi scontri nessuno andrà in carcere se non forse i promotori degli stessi atteso che ci siano e si dimostrino che siano colpevoli. Tutti se la caveranno con molto poco come può essere una pena ad un anno e mezzo di reclusione con sospensione della pena e non menzionamento nel casellario giudiziale. Molto probabilmente, anzi mi auspico, sarà applicato un DASPO (cosa sia è spiegato molto bene qui:

 https://www.italiaoggi.it/news/che-cos-e-e-come-funziona-il-daspo-202210281429274146#:~:text=Una%20prima%20figura%20%C3%A8%20il,nonch%C3%A9%20a%20luoghi%20interessati%20all

Sono ben altri i reati per cui ci sono pene severe in Italia, ringraziando il cielo! Tutti quelli che hanno scritto nei vari commenti sulle varie pagine “a spaccare le pietre” o peggio “in galera senza processo” e altre amenità sono gli stessi che poi vengono da me a cercare di farsi togliere una multa per eccesso di velocità. Siamo un popolo di giustizialisti fino a quando non ci arriva una multa a casa e aggiungo che: a tutti quelli che hanno scritto “siamo in itaglia”, potete trasferirvi in Corea del Nord pure ora. Concludo con una frase che dice un mio collega di Napoli veramente molto bravo che seguo con affetto e interesse su Instagram dove si diletta a fare piccole videolezioni di diritto penale: “è il diritto penale, chest’è!” Buona giornata.     

GRAVINA, SI PUÒ ANDARE VERSO L’ARCHIVIAZIONE?

Salve a tutti, in quest’ultima settimana molti juventini mi hanno postato in gesto di scherno sulla mia pagina il seguente articolo https://www.calcioefinanza.it/2021/12/14/caso-suarez-archiviazione-figc/?fbclid=IwAR2jf_S8up2h-rLkd_wvpeexpCPhK1kbWgC3GPRsizaSv3_-5xf0en_90-Q che comunque ho ripostato anch’io. Si legge in questo articolo: «La Procura Federale, su conforme parere della Procura Generale dello Sport, ha disposto nei giorni scorsi l’archiviazione “allo stato degli atti” del procedimento relativo all’indagine della Procura della Repubblica di Perugia sull’esame del calciatore Suarez volto ad ottenere la cittadinanza italiana, in attesa della trasmissione di eventuali ulteriori atti di indagine e/o processuali dalla competente Autorità Giudiziaria». Già questo “allo stato degli atti” non lascia assolutamente intendere che la questione sia chiusa ma vi è di più, l’articolo continua:  «Dalla documentazione ricevuta dalla Procura della Repubblica di Perugia – si legge in una nota ufficiale pubblicata dalla Federcalcio – non sono emersi elementi sufficienti per ritenere provate condotte illecite rilevanti nell’ambito dell’ordinamento federale sportivo di dirigenti o comunque tesserati, unici soggetti sottoposti alla Giustizia Sportiva ai sensi del vigente C.G.S.».

Ciò significa solo una cosa: che ammesso e non concesso che ci siano state ed è tutto da verificare, ricordiamolo che ci vuole un processo per stabilire certe cose,  condotte illecite intese a favorire la Juve al fine di tesserare Suarez, esse sono state, allo stato degli atti, condotte da persone non tesserate e quindi la Juve dal punto di vista sportivo/disciplinare non rischierebbe niente. Ovviamente ciò è stato fonte di grande godimento e di scherno nei miei confronti da parte dei soliti juventini frequentatori della mia pagina che hanno incominciato ad attaccarmi. A loro ci tengo a dire immediatamente che non ho mai scritto da nessuna parte che la Juve rischiasse chissà cosa, al massimo una multa e qualche punto di penalizzazione ma niente di più considerando che Suarez nella Juve non ci ha mai giocato e comunque anche se non gli succede niente state tranquilli, dormo lo stesso. A prescindere, il punto di domanda è il seguente: siamo sicuri che i gli unici soggetti sottoposti alla Giustizia Sportiva siano i tesserati? A mio parere no. Recita il comma 7 dell’art. 32 CGS: “La violazione delle norme federali in materia di tesseramenti, compiuta mediante falsa attestazione di cittadinanza, costituisce illecito disciplinare. Le società nonché i loro dirigenti, tesserati, soci e non soci di cui all’art. 2, comma 2, che compiano direttamente o tentino di compiere ovvero consentano che altri compiano atti volti ad ottenere attestazioni o documenti di cittadinanza falsi o comunque alterati al fine di eludere le norme in materia di ingresso in Italia e di tesseramento di calciatori extracomunitari, ne sono responsabili applicandosi le sanzioni di cui ai successivi commi 8 e 9”. Recita l’art. 2, comma 2, CGS: “Il Codice si applica, altresì, ai soci e non soci cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società, alle persone comunque addette a servizi delle società stesse e a coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevanti per l’ordinamento federale”. Per concludere quindi possiamo dire che se si scopre che alcune persone, anche non tesserate, abbiano svolto per la Juve un ruolo importante nel tentato tesseramento di Suarez come calciatore comunitario, la Juve ne sarà responsabile oggettivamente. Stessa cosa se invece si scopre che dirigenti o comunque tesserati sapevano dell’esame farsa e abbiano lasciato che il tutto andasse avanti. Non occorre quindi che ad agire per la Juve siano soggetti tesserati perché si possa agire anche dal punto di vista disciplinare nei suoi confronti. Non convengo quindi con quanto ha detto Gravina che sarà anche il Presidente della FIGC ma di certo non è un giudice sportivo. Ritorno a ribadire che nella peggiore delle ipotesi la Juventus come società dal punto di vista sportivo rischia una multa e qualche punto di penalizzazione che, considerando il campionato e la posizione che occupa in classifica in questo momento, sarebbero a dir poco irrilevanti, di certo non saranno i due punti di penalizzazione a fargli perdere lo scudetto. Chiudo questo articolo con quanto scritto (meglio) in questo articolo  https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Juventus/14-12-2021/juve-procura-figc-archivia-per-ora-l-inchiesta-sull-esame-farsa-suarez-430452059662.shtml : “La nota (della FIGC n.d.r.) comunque non esclude possibili altri sviluppi “in attesa della trasmissione di eventuali ulteriori atti di indagine e/o processuali dall’Autorità Giudiziaria”. Buona serata, l’Inter ha giocato venerdì, la Juve ha giocato sabato, oggi potete passare la serata a scannarvi sulla mia pagina, perdonatemi se non vi risponderò, io preferisco vedermi Milan Napoli.

Il caso Suarez, cosa rischia la Juve.

Molti mi hanno chiesto tramite messanger ma anche semplicemente sulla pagina cosa rischia la Juve per i fatti recenti inerenti il tesseramento del giocatore uruguayano Suarez. Faccio alcune premesse:

1) tutti quanti voi sapete la storia dell’esame truccato del giocatore uruguayano Suarez e quindi è inutile ripeterla;

2) in data 11.06.2019 il CGS è stato riformato per l’ennesima volta;

3) è assolutamente inutile quindi che mi mettiate in mezzo nei commenti e nel futuro il caso Recoba, stiamo fra il fotte sega e lo sti cazzi, le regole nel frattempo sono cambiate 150.000 volte, il CGS è stato riformato tante volte, non mi scocciate perché non vi risponderò nemmeno;

4) le indagini sono ancora in atto, è quindi molto presto per tirare delle conclusioni definitive, i processi sia quelli sportivi che quelli penali si devono ancora incardinare, il mio è un discorso prettamente ipotetico allo stato degli atti.

Per quanto riguarda in particolare la premessa sub 3), vi rendo edotti di una cosa: fino al 1981 il reato di violenza sessuale era un reato non contro la persona ma contro la morale pubblica. Il tutto portava a far si che se il pubblico scandalo veniva in qualche modo riparato non c’era più reato. Come si poteva riparare a tale scandalo? Semplice, sposandosi la violentata. In altre parole, se violentavi una ragazza e poi, semplicemente, dopo, accettavi di sposartela, il reato di violenza sessuale era estinto. Premettendo che le famiglie 40 anni fa spingevano le ragazze a sposare il suo violentatore ponendo queste ad una seconda violenza, è indubbio che c’è stata di fatto una disparità di trattamento fra chi nel 1980 ha violentato una donna e poi se l’è sposata estinguendo il reato stesso e chi invece ha fatto la stessa cosa nel 1982 quando il matrimonio riparatore previsto fino al 1981 dall’art. 544 C.p. era stato abolito. E adesso che vogliamo fare? Chi ha violentato una donna prima del 1981 e poi se l’è pure sposata perpetrando nei confronti della donna una seconda violenza e riparando così al reato di violenza sessuale gli è andata bene, chi lo ha fatto dopo il 1981 gli è andata male. E quindi? Così è se vi piace. Il diritto si evolve e ciò che un tempo non era considerato reato dopo è diventato reato e viceversa. Fare raffronti fra il caso Recoba e il caso Suarez è assolutamente inutile. Di esempi sul diritto che si evolve ne potrei fare centinaia. Volete un altro esempio? A disposizione: ai tempi degli antichi romani, secoli prima che Giulio Cesare passasse il Rubicone pronunciando la famosa frase “il dado è tratto”, gli interessi sui prestiti erano del 100% su base annua e se il debitore non pagava, il creditore aveva il diritto di imprigionare il proprio debitore, condurlo nelle proprie prigioni e li costringerlo a lavorare fino all’estinzione del debito. Adesso tutto ciò si chiama reato di usura, rapimento di persona e riduzione in schiavitù. Bene, e adesso che vogliamo fare? Nessun avvocato, nessun difensore direbbe, per difendere chi oggi si macchia di tali reati, che invece nel sesto secolo avanti cristo tutto ciò era consentito. Non avrebbe alcun senso. Quindi è inutile che mi mettiate sullo stesso livello il caso Recoba e il caso Suarez. Sono passati all’incirca 20 anni fra i due episodi. Nel frattempo, se la memoria non mi inganna, il CGS è stato riformato quattro volte e quindi sarebbe come mettere sullo stesso piano un banchiere romano del sesto secolo avanti cristo che oggi sarebbe un usuraio con una banca attuale o un caso di violenza carnale avvenuto negli anni settanta in cui il violentatore se l’è cavata sposandosi la vittima con un caso di violenza sessuale attuale in cui il violentatore si è preso 12 anni. Fatta questa dovuta premessa e ricordandovi ancora che è assolutamente inutile che mi mettiate sullo stesso livello il caso Recoba con il caso Suarez e ricordandovi che il CGS è stato riformato ancora nel giugno del 2019, andiamo a vedere cosa adesso prevede. A riguardo quello che prima era previsto all’art. 8, comma 6 CGS e dopo la susseguente riforma all’art. 10 comma 6 CGS, adesso lo troviamo con ulteriori modifiche all’art. 32 comma 7 che recita cosi:” La violazione delle norme federali in materia di tesseramenti, compiuta mediante falsa attestazione di cittadinanza, costituisce illecito disciplinare. Le società nonché i loro dirigenti, tesserati, soci e non soci di cui all’art. 2, comma 2, che compiano direttamente o tentino di compiere ovvero consentano che altri compiano atti volti ad ottenere attestazioni o documenti di cittadinanza falsi o comunque alterati al fine di eludere le norme in materia di ingresso in Italia e di tesseramento di calciatori extracomunitari, ne sono responsabili applicandosi le sanzioni di cui ai successivi commi 8 e 9. Alle stesse sanzioni soggiacciono le società, i dirigenti e i tesserati qualora alle competizioni sportive partecipino calciatori sotto falso nome o che comunque non abbiano titolo per prendervi parte”.   

Allora, leggendo il tenore dell’articolo ed in particolare di ciò che ho avuto la accortezza di mettere in grassetto e di sottolineare possiamo affermare un paio di concetti:    

1) Si tratta di un illecito a consumazione anticipata che va a punire tutti gli atti volti al raggirare le regole sul tesseramento dei giocatori extracomunitari;
2) Conseguenza del punto 1), che poi il tesseramento non c’è e il giocatore viene scoperto prima e non gioca mai una partita nella squadra che ha tentato di raggirare le regole per tesserarlo, è irrilevante.

Fatte queste dovute premesse e chiedendovi gentilmente di non rimettermi in mezzo il caso Recoba, sono passati 20 anni, all’epoca queste regole non c’erano, cerchiamo di capire cosa potrebbe rischiare la Juventus e Paratici se tutte queste voci e questi sospetti venissero confermati a seguito di un processo sportivo.

Partiamo da un presupposto base: per il momento non sappiamo niente, può anche essere che l’Università di Perugia abbia deciso di sua spontanea volontà di regalare l’idoneità linguistica a Suarez per magari dopo chiedere dei vantaggi alla Juventus o chissà cosa ma seguiamo pure la tesi accusatoria e diciamo che Paratici o chi per lui si sia adoperato affinché l’esame di Perugia fosse una presa in giro. Diciamo che seguendo la tesi accusatoria, Paratici, stando anche a ciò che si legge adesso in giro riguardo ad una telefonata fra Paratici e il Rettore della Facoltà degli stranieri di Perugia, abbia in qualche modo fatto pressioni per far si che Suarez passi l’esame di abilitazione linguistica. Diciamo che quindi ma ricordiamolo è un discorso prettamente ipotetico ed io i processi non li faccio, al più li commento, Paratici abbia posto in essere atti volti a raggirare le norme sul tesseramento. Cosa rischia lui e cosa rischia la Juve? Ce lo dice il proseguo dell’art. 37 ai commi 8 e 9, andiamo a leggerli.

Incominciamo dal comma 9, capiamo cosa rischia Paratici e tutti i massimi dirigenti della Società bianconera che, stando a quello che dice Calciomercato.com in questo articolo

https://www.calciomercato.com/news/procura-di-perugia-per-suarez-un-esame-farsa-indagati-anche-i-di-64193

si sono attivati per far avere la cittadinanza italiana a Suarez e raggirare mediante un esame farsa le norme sul tesseramento di Suarez.

Il comma 9 dell’art. 32 CGS recita testualmente: “ I dirigenti, i tesserati delle società, i soci e non soci di cui all’art. 2, comma 2, riconosciuti responsabili dei fatti di cui al comma 7, sono puniti con la sanzione dell’inibizione o della squalifica per un periodo non inferiore a due anni”.  

Premettendo che, giusto per completezza, i “non soci” di cui all’art. 2 comma 2 CGS altro non sono che le persone che anche se non risultano negli organigrammi delle Società sono comunque a loro riconducibili, tutti coloro che risulteranno aver in qualche modo agito affinché venissero aggirate le norme sui tesseramenti dei calciatori extracomunitari, in questo caso facendogli avere la cittadinanza italiana a seguito di un esame farsa, rischiano la squalifica o comunque l’inibizione per un periodo non inferiore a due anni. Che cos’è l’inibizione o meglio cosa comporta, ce lo dice il comma due dell’art. 9 CGS: “La sanzione della inibizione temporanea comporta in ogni caso: a) il divieto di rappresentare la società di appartenenza in attività rilevanti per l’ordinamento sportivo nazionale e internazionale; b) il divieto di partecipare a qualsiasi attività degli organi federali; c) il divieto di accesso agli spogliatoi e ai locali annessi, in occasione di manifestazioni o gare calcistiche, anche amichevoli, nell’ambito della FIGC con eventuale richiesta di estensione in ambito UEFA e FIFA; d) il divieto di partecipare a riunioni con tesserati o con agenti sportivi, fatto salvo quanto previsto al comma 1, lett. h)”. Il comma 1 lettera h sempre ovviamente dell’art. 9  CGS afferma che “I soggetti colpiti da tale inibizione possono svolgere, nel periodo in cui la sanzione viene scontata, attività amministrativa nell’ambito delle proprie società nonché partecipare e rappresentare, anche con l’esercizio del diritto di voto, la propria società nelle assemblee della lega di competenza relativamente a questioni di natura patrimoniale poste all’ordine del giorno della assemblea” .

Sperando di essere stati chiari, andiamo invece a vedere cosa rischia la Juventus se questo impianto accusatorio dovesse essere confermato a seguito dei processi sia sportivi che penali.

Ce lo dice il comma 8 dell’art. 32 CGS:” Nell’ipotesi di cui al precedente comma, se viene accertata la responsabilità della società ai sensi dell’art. 6, commi 2 e 3, il fatto è punito, a seconda della gravità, con le sanzioni di cui all’art. 8, comma 1, lettere c), g), h), i), mentre se viene accertata la responsabilità diretta della società ai sensi dell’art. 6, comma 1 il fatto è punito, a seconda della gravità, con le sanzioni all’art. 8, comma 1, lettere g), h), i).

Mettiamo subito in chiaro cosa dice l’articolo 6 CGS ai commi 1, 2 e 3. Cominciamo dai commi 1 e 2che dicono:”La società risponde direttamente dell’operato di chi la rappresenta ai sensi delle norme federali”. Quindi se a commettere un illecito è un dirigente si avrà la responsabilità diretta con le sanzioni previste all’art. 8, comma 1 g), h) e i) ma, come appunto meglio specificato al comma 2 del medesimo articolo,” La società risponde ai fini disciplinari dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 2, comma 2.

In altre parole, la società risponde sempre dell’operato dei propri tesserati non solo dei propri dirigenti. Tanto è vero che poi leggiamo al comma 3 del medesimo articolo:”Le società rispondono anche dell’operato e del comportamento dei propri dipendenti, delle persone comunque addette a servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello della società ospitante, fatti salvi i doveri di queste ultime”.

Come affermato al comma 8 dell’art. 32 CGS in questo caso, trattasi di responsabilità oggettiva, quella di Meani in calciopoli per intenderci. In caso di responsabilità oggettiva la società può essere punita con una sanzione prevista all’art. 8, comma 1, lettere c), g), h), i) CGS. Considerando Paratici comunque un dirigente, le sanzioni a cui andrebbe incontro la Juventus se l’impianto accusatorio venisse dimostrato e sia chiaro: ci vogliono i processi per dimostrarlo, staremo quindi a vedere, dovrebbero essere quelle previste solo dalle lettere g), h) e i) ma noi, per completezza, mettiamoci pure la lettera c).

Allora, la lettera c) prevede come sanzione da infliggere alla società l’ammenda con diffida. Siccome Paratici e gli altri personaggi che pare che siano coinvolti, stando a quello che si legge sul web, sono comunque dirigenti, la Juve dovrebbe nel caso rispondere per responsabilità diretta e dovrebbe subire, a seconda della gravità del fatto così come sarà eventualmente definita nelle sedi opportune e non da me,  una delle seguenti sanzioni:

g) penalizzazione di uno o più punti in classifica; se la penalizzazione sul punteggio è inefficace in termini di afflittività nella stagione sportiva in corso è fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente;

h) retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato di competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria; la retrocessione all’ultimo posto comporta comunque il passaggio alla categoria inferiore;

i) esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore.  

Premettendo che per quanto grave ed incresciosa possa essere la vicenda Suarez, l’Università italiana non ci ha fatto proprio una bella figura, diciamoci la verità, di fatto Suarez non è mai stato tesserato nella Juve e con la Juve non ci ha mai giocato una partita quindi è mio parere del tutto personale che la Juve nella peggiore delle ipotesi dovrebbe comunque cavarsela con molto poco, forse un paio di punti di penalizzazione e nulla più da scontare in questa o al più nella prossima stagione mentre qualche dirigente come Paratici, potrebbe prendersi una inibizione che in teoria dovrebbe essere di due anni ed in pratica durerà molto meno. Personalmente, per la legge del contrappasso, sarei felice se alla Juve gli togliessero i tre punti ottenuti a tavolino contro il Napoli, quella è un’altra vicenda di cui vorrei parlare, la prossima volta però.    

Discutendo del più e del meno con Umberto Chiarello: L’arbitro Pairetto Jr può arbitrare?

Salve a tutti, molti di voi forse non lo sapranno ma ultimamente ho avuto il piacere di essere stato in un paio di circostanze ospite telefonico di una trasmissione radiofonica sull’emittente Radio Punto Nuovo condotta dal giornalista sportivo Umberto Chiarello. In queste due circostanze ho avuto il piacere di affrontare diversi argomenti con lui inerenti in particolare Calciopoli. Premettendo che è difficilissimo affrontare ed esporre in maniera seria e completa temi come Calciopoli in 10 minuti (quelli sono i tempi), durante i miei interventi si sono toccati diversi argomenti e su alcuni di questi ho deciso di scrivere degli articoli. Il primo argomento che intendo affrontare e di cui si è parlato in questa trasmissione è se sia giusto o no che Pairetto jr, figlio di Pierluigi, possa arbitrare.

Mettiamo subito in chiaro un concetto di fondo: se c’è un posto nel mondo del  lavoro dove la raccomandazione non serve a niente o quasi, quello è il mondo del calcio.
A nessun tifoso credo che possa interessare il cognome del giocatore, se non sai giocare a pallone, se fai perdere la tua squadra, se non sei all’altezza della maglia che indossi, della storia della tua squadra, della categoria della squadra in cui militi e degli obiettivi che questa squadra si è prefissato, in questa squadra non ci puoi stare. Un esempio lampante che credo che valga per tutti è proprio Christian Maldini, figlio di Paolo e nipote di Cesare. Lui ha si avuto la possibilità di giocare nella primavera del Milan ma poi è uscito per quello che è, un modesto giocatore che dopo una modesta esperienza nel campionato maltese è tuttora in forza alla Pro Sesto in Serie D e che tuttora non potrebbe mai giocare neanche nel Milan attuale sebbene possa avere tutte le raccomandazioni di questo mondo. Fatta eccezione poi di Cesare e Paolo Maldini, gli altri figli d’arte, almeno in Italia, si contano oggettivamente sulla punta delle dita di una mano. Possiamo giustappunto citare il figlio di Enrico Chiesa Federico tuttora in forza alla Fiorentina e punto fermo dell’attacco della nostra nazionale e poi? A mente non mi vengono altri giocatori in attività figli d’arte almeno in Italia. In passato possiamo citare Vieri anche se il padre non ha avuto una carriera sullo stesso livello del figlio, i Mazzola, Daniele Conti che comunque non è assolutamente paragonabile al padre Bruno campione del mondo e poco altro. Sempre a proposito di Campioni del Mondo dell’82 possiamo ricordare il figlio di Ciccio Graziani, Gabriele che vanta una modesta carriera nelle serie inferiori e nulla più e a voler esagerare possiamo anche ricordare che il portiere Buffon è parente alla lontana di Lorenzo Buffon. Personalmente non ricordo altri casi noti di figli d’arte poi sicuramente molti calciatori avranno altri parenti che giocano o hanno giocato in passato nelle serie inferiori ma da una breve disamina si può tranquillamente affermare che nel calcio la raccomandazione ha uno scarso valore, ti può al più aiutare ad entrare nelle squadre giovanili di qualche grosso club ma niente di più, poi o il giocatore dimostra di valere oppure finisce in quarta serie.  Le cose cambiano invece un po’ per quanto riguarda gli arbitri. In particolare come non dimenticare Romeo e Gianluca Paparesta, o gli arbitri Pieri Tiziano e il padre Claudio, Rosario Lo Bello figlio di Concetto,  Giovanni Ayroldi  fra gli arbitri di serie B, figlio di Stefano assistente arbitrale e nipote di Nicola per non parlare appunto di Pairetto figlio. Già da questa breve lista fatta sostanzialmente a memoria, sono sicuro che molti di voi sapranno ricordarmi tantissimi altri figli d’arte sia fra i giocatori che fra gli arbitri, possiamo affermare che probabilmente il fenomeno dei figli d’arte è nel calcio più presente fra gli arbitri che fra i giocatori. Sono arbitri raccomandati? È mio parere personale che affermare che non abbiano avuto nessun genere di raccomandazione sia poco credibile. È molto probabile che l’abbiano avuta esattamente come è molto probabile che l’abbiano avuta i figli dei calciatori almeno per entrare nelle giovanili di qualche squadra importante, poi il resto è ovvio che non può che essere merito loro anche perché sarebbe difficile pensare che un figlio d’arte possa giocare o arbitrare in serie A pur essendo totalmente scarso, un aiutino ci potrà pure stare ma per il resto è solo, spero, merito loro. La raccomandazione a mio parere non può funzionare più di tanto nel mondo del calcio dove, soprattutto ad altissimi livelli, l’operato di atleti ed arbitri è quotidianamente sotto l’osservazione di tantissimi spettatori.

Stesso ragionamento che sarà sicuramente fonte di diverse critiche nei commenti, non può che essere fatto  quindi anche per Luca Pairetto che difficilmente potrebbe arbitrare in serie A se fosse un incapace, sarebbe sotto gli occhi di tutti e non potrebbe passarla liscia in un ambiente sottoposto alla critica pesante e severa di migliaia di giornalisti pronti con la lente di ingrandimento ad analizzare il suo operato in ogni suo aspetto. Se fosse un incapace raccomandato ci sarebbero titoloni a carattere cubitali su tutti i giornali. Eppure un motivo per dubitare almeno della sua imparzialità e non, giova ripeterlo, della sua capacità, ci sarebbe. Innanzitutto dobbiamo ricordare quale è stato il principio emerso nelle varie sentenze di calciopoli ossia che l’arbitro è un giudice e quindi, in quanto tale, non può avere rapporti con le parti in causa, non potrebbe per esempio sentirsi al telefono con il presidente di una società di calcio la cui squadra deve arbitrare nelle prossime gare, non dovrebbe avere rapporti di alcun genere con alcuna delle parti in causa, non potrebbe un giudice essere parente o amico di una delle due parti in causa in un processo sia esso penale che civile, non potrebbe ricevere telefonate addirittura su scheda svizzera riservata da una delle parti in causa e via discorrendo, gli esempi che ci ha dato calciopoli sono tantissimi. A questo punto prima di incominciare a porci qualche domanda mi tocca spiegare un concetto di fondo che per i conoscitori del diritto è praticamente come l’alfabeto, non te lo chiedono ma bisogna saperlo, per gli altri invece è giustamente una cosa sconosciuta ma che bisogna conoscere altrimenti non possiamo andare avanti. Tenetevi forte, siete pronti? 3 – 2 – 1 contatto: “IL PRECEDENTE NEL DIRITTO È VINCOLANTE”. Che significa quello che ho detto? Il diritto è pieno di parole che non hanno un significato ben preciso, è pieno di quelli che vengono definiti “concetti valvola”, concetti che poi devono essere i giudici ad interpretare cioè a dargli un significato e ad applicare al caso concreto. Faccio un esempio pratico: che significa “furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento”? Quando il mezzo per portare a termine (perfezionare in giuridichese) un furto può essere considerato fraudolento? Sono queste e tante altre le domande a cui risponde la giurisprudenza con i suoi precedenti. Nel caso specifico la giurisprudenza, ossia l’insieme delle precedenti sentenze ed in particola modo quelle della Cassazione meglio se a Sezioni Unite, ha stabilito che, per esempio, nascondersi nella giacca un pezzo rubato in un supermercato  nella speranza di passare dalla cassa senza essere scoperti non costituisce furto aggravato dal mezzo fraudolento. Questo principio è molto importante, a me sembra una ovvietà ma mi sono reso conto negli anni in cui ho cercato di spiegare le varie sentenze di calciopoli a persone poco avvezze allo studio del diritto, che è invece un concetto che è poco conosciuto e che ha tante applicazioni pratiche e teoriche anche al solo fine di avvicinarci in maniera costruttiva allo studio di Calciopoli. Quando Palazzi, per esempio, nella sua Relazione, per quanto riguarda la posizione dell’Inter e di Facchetti, afferma che “in ordine alla qualificazione delle condotte esaminate come sopra prospettata  […] la Procura, in fattispecie comparabili alla presente, contestò la violazione, in concorso formale, dei previgenti artt. 1 e 6, commi 1 e 2 del C.G.S . […]Di contro, i Giudicanti, nelle decisioni richiamate nell’indice del fascicolo del presente procedimento, ritennero integrata la sola violazione […] dei principi di cui all’art. 1”   vuol dire che la Procura ossia l’accusa, nel processo sportivo Calciopoli, in situazioni simili a quelle di Facchetti, contestò sia la violazione dell’articolo 1 che dell’articolo 6 C.G.S. ma i giudici riconobbero la violazione del  solo articolo 1 CGS e, siccome, come ho detto, IL PRECEDENTE NEL DIRITTO È VINCOLANTE, tutti i casi analoghi successivi devono conformarsi al precedente (capito Cozzolino?). Di conseguenza, un ipotetico processo sportivo contro l’Inter con Facchetti ancora vivo, vedrebbe al più l’Inter condannata per violazione dell’art. 1 CGS ma non certo per violazione dell’art. 6 che è solo di competenza della Juve che che ne dica gente come Marcello Chirico e tutta la compagnia cantante di Ju29ro e Giùlemanidallajuve (ma chi vi tocca). Torniamo a noi, prendiamo per l’ennesima volta la sentenza calciopoli. Cosa ha stabilito? Ha stabilito che l’arbitro e ancora prima chi è designato a nominarli, deve essere in una condizione di terzietà e imparzialità al pari di un qualunque giudice e quindi, di conseguenza, per gli arbitri è stato applicato il medesimo criterio e le stesse regole che sono applicate nei nostri codici di rito nei confronti dei nostri giudici al fine di salvaguardarne la loro terzietà. Nel momento in cui la terzietà dell’arbitro è stata palesemente messa in pericolo infatti, nelle sentenze di calciopoli si è irrogata la sanzione prevista dall’articolo 1 della legge 401/89, il reato di frode sportiva appunto. È appunto stata considerata frode sportiva ogni intromissione da parte di Moggi nella formazione delle griglie al solo fine di inserire all’interno della griglia arbitri o guardalinee “suoi”, lo stesso dicasi per le telefonate convenevoli da parte di Meani a Bergamo al solo fine di far mettere il guardalinee Puglisi notoriamente milanista in una partita del Milan e via discorrendo. È stata considerata frode sportiva ogni azione volta a ledere (rectius a mettere semplicemente in pericolo) la terzietà e imparzialità degli arbitri usando come metro di giudizio, come appunto ho detto prima, lo stesso metro di giudizio che troviamo all’art. 36 del Codice di procedura penale che elenca una serie di situazioni in cui il Giudice ha l’obbligo di astenersi perché non può essere imparziale. Ed ecco quindi che le sentenze di calciopoli, sia pur accettando un minimo di contatto fra le parti in causa per cui l’arbitro può ricevere ad esempio le maglie delle squadre e dei giocatori più importanti, può permettere a fine partita l’ingresso nello spogliatoio per i saluti da parte dei dirigenti delle due squadre scese in campo ( si veda la famosa circolare 7 al punto 4 http://download.ju29ro.com/processo_calciopoli/Circ7_0405.pdf  ), non può di certo essere nominato da chi deve poi essere arbitrato esattamente come nessuno può decidere da solo chi deve essere il giudice che deve decidere su una sua questione sia essa penale o civile. Non può neanche, esattamente come un qualsiasi altro giudice, avere una scheda telefonica riservata con cui comunicare con una delle parti in causa e non può assolutamente sentirsi dire una frase del genere “a me servirebbe di far aumentare il Milan nelle ammonizioni per fare le diffide”(frase detta da Moggi a Racalbuto). A questo punto il dubbio sorge spontaneo: come può un arbitro che ha un fratello che lavora nella Juventus essere terzo e imparziale di fronte a squadre che militano nello stesso campionato in cui milita la Juventus? Se è vero come è vero che il precedente è vincolante (salvo poi eventuali svolte giurisprudenziali dovute all’evoluzione della nostra società, si pensi a titolo di esempio al “comune senso del pudore” che ovviamente si evolve col tempo e con esso la giurisprudenza a riguardo), se è vero che in calciopoli è stato stabilito che l’arbitro e soprattutto chi ha “l’onore e l’onere di designarli” deve trovarsi in una posizione di “autonomia e garanzia di indipendenza di giudizio” (si legga pagina 146 motivazioni della Sentenza di Appello Moggi e altri), come può un arbitro che ha un fratello che lavora all’interno della Juventus essere terzo e imparziale in una partita che vede coinvolta una squadra che magari in qualche modo contende lo scudetto o comunque un obiettivo alla Juventus? Mettiamo subito in chiaro un concetto: io non sto assolutamente affermando che Pairetto abbia arbitrato delle partite in mala fede. Io sto semplicemente affermando che, a mio parere, se si applicasse, come in teoria si dovrebbe fare, ciò che è stato sostanzialmente statuito nelle varie sentenze di calciopoli, ossia che “un direttore di gara che, in quanto tale, ricopre un ruolo di ‘arbitro’ in ogni accezione, ovvero secondo il principio di mantenere una equidistanza necessaria ed ineludibile fra i contendenti che non deve mai venire meno(pagina 103 sentenza di appello Moggi), se si considerasse applicando quanto statuito dalle sentenze penali di calciopoli l’arbitro in ogni sua “accezione” esattamente come se fosse un giudice di un tribunale, se veramente dovessero valere per l’arbitro le stesse regole che valgono per il giudice al fine di preservarne la sua imparzialità, regole che sono statuite all’art. 51 del Codice di procedura civile (C.p.c.) e parimenti ripetute all’art. 36 del Codice di procedura penale (C.p.p.) per cui l’arbitro non può essere amico, parente o avere alcun genere di rapporto con le parti in causa, Pairetto, che ha un fratello che lavora nella Società Juventus, non potrebbe arbitrare in serie A. Personalmente, ma la mia ripeto è un’opinione, non è sufficiente non fargli arbitrare la Juve per garantirgli la sua totale terzietà rispetto alla gara perché comunque la sua terzietà e imparzialità è comunque messa in pericolo perché il fratello lavora in una Società sportiva comunque interessata alle partite che lui arbitra. La mia, sia chiaro, è una mera opinione dovuta al fatto che ho una concezione forse troppo estremista della terzietà e imparzialità che anche nelle sentenze ha subito diverse deroghe rispetto a quella che è la terzietà e imparzialità dei giudici. Facciamo un esempio chiaro in maniera tale che ci possiamo capire. Riprendiamo la famosa “Circolare 7”, quella che permetteva ai Presidenti delle Società di calcio di entrare negli spogliatoi per salutare gli arbitri prima o dopo la partita e di omaggiarli con maglie e altro. Si per carità, in linea del tutto teorica un arbitro non si dovrebbe lasciar corrompere con qualche maglietta ma ricordiamolo che in Calciopoli si sono assistiti a episodi a dir poco anomali dove venivano regalate agli arbitri prima e dopo le partite molte tute e maglie, gadget di tutti i tipi fino ad anche maglioni di Cashmere per non parlare dei Rolex d’oro antecedenti al periodo Calciopoli. Premettendo che una cosa è regalare una maglia che ha più o meno un valore di circa 50€ più il valore intrinseco a volte incalcolabile perché di carattere affettivo che può avere il fatto che sia stata di un determinato calciatore anziché di un altro, un’altra è regalare decine di maglie e tute e in calciopoli è successo e non è stata solo la Juve la protagonista di questi episodi, ma a prescindere, è regolare questa cosa? A mio parere no, a mio parere se l’arbitro è un giudice non dovrebbe mai accettare regali di nessun valore da parte di nessuno. Sarebbe come se gli avvocati, alla prima udienza, prima di incominciare la discussione, regalassero al giudice gagliardetti, penne o altro con il logo del proprio studio legale, una cosa a dir poco inammissibile oltre che inconcepibile.

In teoria dopo Calciopoli, una volta che si è stabilito che l’arbitro è un giudice, certe consuetudini sarebbero dovute essere abrogate. Tutt’ora invece leggiamo all’art. 40, comma 4, lettera m, del Regolamento della Associazione Italiana Arbitri https://www.aia-figc.it/download/regolamenti/reg_aia.pdf che agli arbitri è fatto divieto “di fare o ricevere regali da altri associati, tesserati, società calcistiche che eccedano il modico valore”.   Per esclusione quindi possiamo affermare che un regalo di modico valore sia invece ammissibile, il problema sarebbe quindi stabilire cosa si intenda per “modico valore”. Venti maglie e venti tute sono un modico valore? Chi può dirlo. A mio parere, se è vero che l’arbitro è un giudice, egli non potrebbe accettare nessun regalo a prescindere dal valore. Questo, a mio parere, non è l’unico esempio di terzietà e imparzialità del mondo arbitrale messa in pericolo nel mondo del calcio. Ci sono tanti altri esempi e tante domande da farsi su come sia mai stata applicata poi la Sentenza Calciopoli ed è di questo che cercherò di parlare nel mio prossimo articolo.

Il mobbing nel calcio

Salve a tutti, partiamo da un presupposto base, ieri, primo maggio, la festa dei lavoratori, ho pensato che potesse essere interessante scrivere un articolo su alcuni casi di mobbing avvenuti nella storia del calcio professionistico a danno di alcuni calciatori più o meno noti che sono, ed è bene ricordarlo, comunque dei lavoratori dipendenti. In linea del tutto teorica l’articolo sarebbe dovuto quindi uscire ieri stesso, poi mi sono reso conto che il materiale era tantissimo ed era quindi difficile riuscire a stendere un articolo serio in un solo giorno, vi chiedo scusa quindi per il ritardo. Innanzitutto va detto che di questi casi di mobbing nella storia  del calcio si è avuta notizia, per la quasi totalità, dagli organi della stampa. Ben poche notizie si possono quindi attingere dai canali di comunicazione ufficiale degli organi federali, innanzitutto perché i casi in questione, tranne poche eccezioni, non sono mai approdati alla decisione della giustizia sportiva perché risolti in via transattiva e soprattutto perché, in genere, la federazione ha sempre preferito non dare particolare risalto a vicende che hanno mostrato situazioni di aperto contrasto tra i calciatori e le società. Sono rari quindi i casi in cui la vertenza è stata portata a conoscenza degli organi di giustizia statale a cui comunque le parti possono adire solo dopo aver adito il Collegio Arbitrale così come previsto dalla clausola compromissoria ( da non confondersi con il “Vincolo di giustizia” ) presente nei contratti con gli sortivi professionisti di cui all’art. 4, 5° comma, legge n. 91/1981. Sovente la situazione di contrasto, che degenera in condotta mobbizzante, si colloca temporalmente nella fase immediatamente precedente la scadenza del contratto con la società di appartenenza, fase nella quale il giocatore è coinvolto nella trattativa per il rinnovo contrattuale, mentre al contempo valuta eventuali offerte da parte di altre società. L’abolizione del vincolo sportivo nel calcio professionistico, avvenuta in maniera definitiva con la Sentenza Bosman, ha segnato nei fatti una forte compressione del potere contrattuale della società che, se in precedenza poteva disporre dell’atleta anche senza il suo consenso comprimendone l’autonomia contrattuale, ora subisce sia il potere contrattuale della controparte sia quello delle società concorrenti, laddove sia impegnata in una trattativa diretta o a ridurre l’ingaggio (nel caso ad esempio, di retrocessione ad una serie inferiore) o a contrastare la richiesta da parte del calciatore di un incremento del corrispettivo per il nuovo ingaggio. Ciò si è tradotto in più circostanze in un inasprimento dei rapporti tra giocatore e società che, al fine di recuperare nei fatti il suo potere contrattuale nei confronti del giocatore, è pervenuta a situazioni di vero e proprio abuso di diritto. La presenza di un’altra società, impegnata nella trattativa concorrente per l’acquisto del giocatore, diviene quindi, spesso, elemento decisivo per una soluzione in via transattiva, che soddisfa economicamente sia il giocatore che la società cedente. Giusto per citare i casi più noti che si sono risolti con una transazione extragiudiziale, possiamo ricordare il caso Antonio Cassano che nel corso della stagione 2005/06 ha lamentato di non essere stato utilizzato in campionato e in prima squadra per motivi legati al rinnovo del contratto con la Società A.S. Roma, adducendo danni alla professionalità per perdita di chance connessa alla mancata convocazione in nazionale. Il caso è terminato come ben sappiamo, con un accordo tra la A.S. Roma e il calciatore e il suo successivo trasferimento al Real Madrid.

Un altro caso terminato con un accordo fra il giocatore e la sua società di appartenenza fu quello tra Luis Antonio Jimenez e la Ternana. Luis Antonio Jimenez in forza alla Ternana, dopo una lettera al commissario straordinario Pancalli per ottenere lo svincolo dall’ufficio tesseramenti della Federcalcio e dalla Lega di Serie C, l’attuale Lega Pro, presentò ricorso al giudice del lavoro di Terni, lamentando la sottoposizione da parte del presidente Edoardo Longarini a vessazioni, persecuzioni e demansionamento, sfociati nell’esclusione dalla normale attività sportiva, nella privazione della fascia di capitano e nell’ostracismo anche in sede di allenamento. Tutto ciò apparve al giocatore funzionale all’obbiettivo da parte della società di cederlo alla Lazio che, al fine di raggiungere questo scopo, si dimostrò disposta ad isolarlo e addirittura a minacciargli l’irrogazione di una multa di € 9.500 per aver insultato un compagno di squadra (non so perché ma il tutto mi ricorda il caso Icardi, fate voi). La controversia si risolse con una transazione per il cui tramite Jimenez si  accordò con la Ternana e fu ceduto alla Lazio. Un altro caso noto fu quello tra Vincenzo Iaquinta e l’Udinese. Anche Vincenzo Iaquinta aveva sollevato la stessa questione di Antonio Cassano risolvendola poi in via transattiva e ottenendo la reintegrazione in squadra e la convocazione in nazionale. Un altro caso che si è risolto con una transazione fu quello tra Rodrigo Taddei e il Siena calcio. Taddei intentò un ricorso dinanzi agli organi di giustizia sportiva nei confronti della società calcio Siena lamentando la sua reiterata inutilizzazione da parte della società per un lungo lasso di tempo. L’episodio però fu risolto in via stragiudiziale a seguito del ritiro del ricorso da parte del giocatore.

Altri casi di mobbing patito da alcuni calciatori invece non si è risolto in via stragiudiziale. Tali condotte sono consistite nell’esclusione dalla formazione della prima rosa, nell’impedimento alla partecipazione alle sedute di allenamento, talvolta anche in aggressioni verbali e/o fisiche, sovente nel periodo immediatamente precedente alla scadenza del contratto. Uno dei primi casi che ha avuto grande eco è stato quello che ha visto quali parte coinvolte, da un lato, il calciatore Diego Zanin, e, dall’altro, la società calcistica per la quale lo stesso giocatore era tesserato, AS Montichiari S.r.l. , che, secondo quanto denunciato dal giocatore, aveva attuato sistematicamente nei suoi confronti una condotta persecutoria, assimilabile alla fattispecie di mobbing verticale (ossia da parte dei superiori), con profili sia di bossing che di bullying, fatta di continue umiliazioni, esclusione ingiustificata dal campo di gioco, emarginazione dal resto della squadra incentivata dalla società stessa, furto di oggetti nello spogliatoio e, da ultimo, anche in un episodio di aggressione fisica (mobbing pesante) dal quale il giocatore aveva riportato lesioni, al solo fine di indurlo a ridurre il proprio ingaggio, a seguito della retrocessione della squadra dal campionato di serie C1 a quello di serie C2. La Commissione Disciplinare, chiamata a decidere sulla vicenda, con deliberazione del 21 maggio 2004, riconobbe l’illiceità dei comportamenti attuati dalla società, nonché da parte dell’allenatore. Un altro caso, definito con pronuncia di condanna per mobbing da parte del Collegio Arbitrale della Lega Nazionale Professionisti, è quello che ha coinvolto la società calcistica Catania e tre suoi tesserati, Mattia Bisio, Gianluca Falsini e Armando Pantanelli. I tre giocatori, dopo ben oltre un mese di continua emarginazione dalle sedute di allenamento, promossero ricorso d’urgenza innanzi agli organi federali, per chiedere l’immediato reintegro negli allenamenti della prima squadra. Il Collegio Arbitrale adito a seguito del ricorso presentato il 27 luglio 2007, con decisione del 23 agosto 2007, dopo quasi nove ore di dibattimento, accolse la domanda ritenendo che l’esclusione dagli allenamenti fosse del tutto ingiustificata e rinviò ad altra successiva decisione la quantificazione della misura del risarcimento dovuto. Analogo oggetto rispetto ai casi sopra citati, ma con esito processuale opposto, ha la vicenda che ha coinvolto la società calcistica Cagliari e il suo tesserato Davide Marchini, il quale, dopo il ripetuto allontanamento dal campo di gioco, sia in occasione delle partite che durante gli allenamenti, decise di intentare causa per mobbing avverso la società di appartenenza denunciando anche un atto di aggressione fisica da parte di un compagno di squadra. Questa volta, però, la Procura della F.I.G.C. non sposò la tesi del giocatore ricorrente e dispose per ben due volte l’archiviazione del caso. Altri casi, balzati all’onore delle cronache, di mobbing nell’ambito del calcio, sono stati quelli di Fabio Rustico contro la società Atalanta Bergamasca Calcio, Lorenzo Mattu contro la AS Latina Calcio S.p.A., Leo Criaco contro la società del Benevento Calcio. Nel 2010 anche il portiere del Cagliari Federico Marchetti, ha denunciato la società per mobbing (esclusione sistematica dalla formazione titolare) chiedendo la risoluzione del contratto ed un risarcimento per i danni subiti.  Nel dicembre del 2009 Goran Pandev ottenne lo svincolo dalla Lazio ed un risarcimento mentre diversa sorte toccò a Ledesma che fu reintegrato in squadra. In entrambi i casi, i giocatori avevano denunciato il comportamento di continua esclusione da parte della società sia dagli allenamenti che dalla formazione titolare perché non avevano accettato di prolungare il contratto che sarebbe andato in scadenza l’anno successivo. Anche in Serie C, dove i casi sono numerosi ma meno noti, tre giocatori: Fattori, Corrent e Oshadogan, tutti con un passato in Serie A, ottennero la risoluzione del contratto e i danni, mentre nel 2009 Millesi del Catania anziché ricorrere al Collegio Arbitrale si accordò per il passaggio ad altra squadra. Questi sono solo i casi più importanti di mobbing nella storia del calcio, mi rendo conto che su ogni singolo caso si potrebbe scrivere una miriade di articoli e non è improbabile che possa incominciare a farlo considerando quasi completamente chiuso, almeno per me, il capitolo calciopoli a cui dedicherò prossimamente giusto qualche altro articolo di chiusura. Buona giornata

CASO ICARDI: C’È MOBBING?

Delle vicissitudini di Icardi negli ultimi 6 mesi all’Inter ne abbiamo tutti quanti sentito parlare. Ognuno si è fatto le proprie idee sulla base di quello che pensa che sia successo realmente. Nella realtà dei fatti nessuno sa cosa sia successo realmente. Nessuno sa, ad esempio, se quando gli è stata revocata la fascia di capitano gli sia stata data una motivazione, nessuno sa se è stato un provvedimento disciplinare o una scelta tecnica, si suppone che sia stato un provvedimento disciplinare forse dovuto ad un suo ritardo nel presentarsi ad un allenamento o forse dovuto a frasi dette dalla moglie in una trasmissione sportiva ma nella realtà dei fatti nessuno lo sa. Sappiamo di sicuro che per un certo periodo di tempo, immediatamente dopo che gli è stata tolta la fascia di Capitano non ha giocato lamentando presunti infortuni, francamente non so neanche se avvalorati o meno da certificati medici. Altri dicono che invece sia stato Spalletti che gli abbia pure impedito di giocare. Ognuno, per carità, si è fatta la sua idea e io attendo con fiducia che qualcuno un giorno mi dia la versione ufficiale. Intanto il 14 luglio è comparso un tweet di Pistocchi,   https://twitter.com/pisto_gol/status/1150373504753295360

che recita testualmente “Secondo un caro amico, esperto nella materia, con Icardi l’Inter rischia una vertenza legale per mobbing: il diritto del lavoro è uno dei punti di forza dello studio Nicoletti che assiste il calciatore”.

È possibile che nel comportamento della società Inter nei confronti di Icardi si possano ravvisare gli estremi del mobbing? Premettendo o meglio, ricordando che nessuno sa effettivamente come si sia comportata la Società nei confronti del calciatore in questi mesi antecedenti l’arrivo di Lukaku,  lo scopo di questo articolo sarà appunto il seguente: spiegare più o meno sommariamente cos’è il mobbing in generale e nel calcio in particolare affinché poi ognuno possa giungere alle sue conclusioni.

Allora, cominciamo col dire che per quanto si possa parlare di professionismo nel calcio, il calciatore è un lavoratore dipendente alla stregua di un qualsiasi impiegato o operaio, né più e né meno. Lavoratore dipendente la cui attività lavorativa, in quanto espressione della sua personalità e strumento di sua realizzazione come per ciascun individuo, costituisce non soltanto un obbligo ma un diritto tutelato dall’ordinamento giuridico. La sottovalutazione o la mancata utilizzazione della sua prestazione che costringe il lavoratore subordinato a rimanere, in parte o in tutto, inattivo, rappresenta quindi motivo di richiesta di risarcimento del danno inteso sia come danno alla professionalità, depauperata a causa del mancato esercizio delle mansioni, che come danno alla personalità e alla salute del lavoratore, genericamente compreso nel c.d. danno biologico. A riguardo la Cassazione, con la Sentenza n. 10 del 2 gennaio 2002 ha affermato che la negazione o l’impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell’interessato. Tale pregiudizio a parere della Cassazione ha una indubbia  dimensione patrimoniale per cui è suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa.
Che cos’è il demansionamento?  È quando, per esempio, ti assumono per fare la collaboratrice in uno studio legale in quanto possiedi determinati requisiti come ad esempio una laurea in giurisprudenza e poi ti mettono a pulire i cessi e a portare i caffè dal bar con conseguente riduzione anche degli emolumenti (esperienza realmente accaduta ad una mia amica). Anche l’atleta professionista, come qualunque altro lavoratore dipendente, deve essere messo in grado di rendere la propria prestazione, partecipando agli allenamenti, ai ritiri e ad ogni iniziativa assunta dalla società di appartenenza in vista dello svolgimento delle competizioni. Ma ciò cui ogni atleta ha maggiormente diritto è il partecipare alle singole gare, che costituisce lo specifico oggetto della prestazione cui lo stesso si obbliga contrattualmente. Esiste, infatti, un evidente interesse dell’atleta a rendere la prestazione, poiché solo in tal modo può dimostrare la sua abilità ed acquistare prestigio e valore sul mercato. Interesse che può trovare limite semplicemente in esigenze di ordine tecnico, e cioè in ragione di valutazioni tecniche o tattiche, di volta in volta effettuate dall’allenatore che, negli sport collettivi, provvede alla formazione della squadra da schierare in campo. In mancanza di tali valutazioni, una forzata, prolungata ed ingiustificata, inattività, soprattutto per i campioni di chiara fama, si traduce in un danno di immagine e di valore che può legittimare la richiesta del relativo risarcimento oltre che la domanda di risoluzione del contratto. Nel calcio, il diritto allo svolgimento dell’attività lavorativa è riconosciuto dal 1° comma dell’art. 91 delle N.O.I.F. che stabilisce che le società, in relazione alla Serie di appartenenza, sono tenute ad assicurare a ciascun tesserato lo svolgimento dell’attività sportiva con l’osservanza dei limiti e dei criteri previsti dalle norme federali per la categoria di appartenenza in conformità al tipo di rapporto instaurato col contratto o col tesseramento. Il 1° comma dell’art. 7 dell’Accordo Collettivo dei calciatori di Serie A ma disposizione analoghe le troviamo anche negli altri accordi collettivi dei calciatori delle serie inferiori e più in generale in tutti gli sport professionistici, stabilisce che “La Società fornisce al Calciatore attrezzature idonee alla preparazione e mette a sua disposizione un ambiente consono alla sua dignità professionale. In ogni caso il Calciatore ha diritto di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato con la prima squadra” salvo il caso di provvedimenti di carattere disciplinare per illecito contrattuale attuati dalla società stessa. Il comma successivo stabilisce inoltre che “salvo i casi di malattia od infortunio accertati, il Calciatore deve partecipare a tutti gli allenamenti nelle ore e nei luoghi fissati dalla Società, nonché a tutte le gare ufficiali o amichevoli che la Società stessa intenda disputare tanto in Italia quanto all’estero”. Vanno, inoltre, ricordate le disposizioni contenute nell’art. 10 dell’Accordo Collettivo dei calciatori di Serie A e contenute anche negli altri accordi collettivi, che dispongono che “Il Calciatore deve adempiere la propria prestazione sportiva nell’ambito dell’organizzazione predisposta dalla Società e con l’osservanza delle istruzioni tecniche e delle altre prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici. Il Calciatore è tenuto ad osservare strettamente il dovere di fedeltà nei confronti della Società. Il Calciatore deve evitare comportamenti che siano tali da arrecare pregiudizio all’immagine della Società. Le prescrizioni attinenti al comportamento di vita del Calciatore sono legittime e vincolanti, previa accettazione delle stesse da parte del Calciatore, accettazione che non potrà essere irragionevolmente rifiutata, soltanto se giustificate da esigenze proprie dell’attività professionistica da svolgere, salvo in ogni caso il rispetto della dignità umana. Il Calciatore deve custodire con diligenza gli indumenti ed i materiali sportivi forniti dalla Società e si impegna a rifondere il valore degli stessi se smarriti o deteriorati per sua colpa. Il Calciatore non ha diritto di interferire nelle scelte tecniche, gestionali e aziendali della Società”. Tale ultima disposizione trova un parallelo nella norma contenuta nell’art. 4, comma 4 della legge n. 91/1981 secondo cui “Nel contratto individuale dovrà essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici”. Queste disposizioni, presentano un contenuto sufficientemente ampio, tale da rappresentare, se violate, un qualcosa che vada al di la del semplice inadempimento contrattuale e possono rappresentare, se accompagnate da i requisiti della frequente ricorrenza, della durata, della vessatorietà e dell’incisività una vera e propria condotta di mobbing.  Il termine mobbing deriva dal verbo to mob, che in inglese assume diversi significati, tra i quali, in particolare, quello di assalire, malmenare o aggredire e serve per qualificare il comportamento aggressivo e ostile posto in essere da un branco nei confronti di un singolo componente del gruppo, al fine specifico di provocarne l’allontanamento. In questo significato, mediante adattamento all’area delle relazioni umane, in specie, nell’ambito lavorativo, il termine mobbing è entrato nel linguaggio comune. La dottrina e la giurisprudenza hanno contribuito alla definizione di mobbing. L’ho spiegato tante volte ma giova sempre ripeterlo: la dottrina è ciò che dicono gli studiosi, la giurisprudenza sono l’insieme delle sentenze, in particolar modo quelle della Cassazione. Cominciamo col dire cosa ha detto la dottrina. Secondo H. Leymann, che fu tra i primi studiosi del fenomeno, il mobbing può essere definito come “una forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico, posto in essere in forma sistematica da una o più persone nei confronti di un solo individuo, il quale, a causa del mobbing, viene a trovarsi in una condizione indifesa e fatto oggetto di una serie di iniziative vessatorie e persecutorie”. In Italia, il fenomeno del mobbing è stato tra i primi indagato a fondo da H. Ege, che lo ha definito quale “un’azione, o una serie di azioni, che si ripete per lungo tempo, compiuta da uno o più mobber per danneggiare qualcuno quasi sempre in modo sistematico e con uno scopo preciso”. Tale scopo, consiste in ultima analisi nell’annientamento sociale e professionale del mobbizzato. Come si può quindi facilmente intuire, il mobbing si caratterizza per l’eterogeneità dei comportamenti che possono configurare la fattispecie. L’elemento qualificatore va identificato nella unità della fonte di provenienza e nella costanza e reiterazione nel tempo dei comportamenti vessatori. La reiterazione nel tempo è utile a distinguere la situazione di semplice conflitto da quella invece ascrivibile a vero e proprio mobbing. Un ulteriore elemento qualificatore è rappresentato poi dallo scopo cui le azioni devono tendere, al fine di poter configurare la fattispecie del mobbing. Non ogni azione, o serie di azioni, di per se vessatorie, sono identificabili nel mobbing, bensì soltanto quelle che hanno una finalità distruttiva della personalità morale e dello status professionale della vittima. Le condotte consistenti in mobbing conducono infatti il mobbizzato ad abbandonare il posto di lavoro, con ricadute sul piano economico, nonché sul piano della serenità affettiva. A causa del mobbing, la vittima sovente cade in uno stato depressivo che può condurlo, in casi estremi, al suicidio. La dottrina maggioritaria, sulla scia degli insegnamenti di H. Ege, ha individuato cinque requisiti che una fattispecie, all’esame dell’interprete, deve presentare per poter essere considerata mobbing. Tali requisiti sono:

  1. a) il luogo in cui la condotta è attuata, che corrisponde al luogo di lavoro;
  2. b) la strategia persecutoria, vale a dire l’intenzionalità che deve ispirare la condotta mobbizzante
  3. c) l’andamento in fasi successive;
  4. d) la modalità vessatoria;
  5. e) la frequenza e la durata, che vanno considerate in stretta relazione tra loro.

Con riguardo all’elemento rappresentato dall’andamento in fasi successive, va osservato che il mobbing non consiste in una situazione accertabile in un singolo dato momento, ma è un processo in continua evoluzione. Sulla base dei risultati prodotti dagli studi nel campo della psicologia del lavoro, è possibile distinguere quattro fasi fondamentali, che rappresentano l’evoluzione cronologica del comportamento ascrivibile nel suo complesso al mobbing. Queste fasi sono denominate:

1) conflitto latente;

2) conflitto mirato;

3) conflitto pubblico;

4) esclusione anticipata dal mondo del lavoro.

La prima fase è quella in cui il soggetto è coinvolto in piccoli contrasti quotidiani sul luogo di lavoro.  La seconda fase è quella in cui la situazione di contrasto non ha più carattere occasionale, ma converge in un conflitto vero e proprio ed è in questa fase che generalmente compaiono i primi sintomi di malessere. La terza fase è quella in cui la situazione conflittuale diviene di pubblico dominio, e si determina un aggravante dello stato di malessere della vita sul piano psicofisico, che può tradursi in ripetute e prolungate assenze per malattia, con conseguente riduzione quantitativa e qualitativa della prestazione di lavoro. L’ultima fase, infine, è quella in cui si realizza il definitivo allontanamento dal posto di lavoro, mediante dimissioni o licenziamento, o altro sistema equivalente. Riportando il tutto al contesto sociale italiano, che si caratterizza per un particolare ruolo assegnato alla famiglia rispetto alle società nord europee, gli interpreti hanno ampliato tale modello, mediante la previsione di altre due fasi, che si inseriscono fra la terza e la quarta fase nelle quali rilevano anche i disturbi, conseguenti al mobbing, incidenti nella vita privata e familiare. La Giurisprudenza invece, con la sentenza della Corte Costituzionale 10-19 dicembre 2003, n. 359, ha definito il mobbing come “un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”. Nella definizione della Consulta emergono, quindi, i tratti caratteristici del mobbing, cioè la sistematicità e durata nel tempo delle azioni vessatorie, nonché il fine persecutorio diretto alla emarginazione dal gruppo di lavoro. Le pratiche vessatorie che inducono altri all’allontanamento  dal posto di lavoro, possono essere caratterizzate sia da violenza morale che fisica. La dottrina, infatti, a riguardo, distingue tra mobbing leggero, nel quale il comportamento vessatorio si esprime mediante atti silenziosi e non palesi, difficilmente dimostrabili, tendenti al progressivo isolamento della vittima ed alla sua esclusione dal gruppo di lavoro, e mobbing pesante, nel quale il comportamento vessatorio è palese e può esprimersi mediante atti di violenza non soltanto psicologica ma, talvolta, anche fisica. L’autore della condotta ascrivibile a mobbing viene denominato mobber, mentre la vittima viene denominata mobbizzato. Nello sport, mobbing può essere qualificato il comportamento attuato dalla società che di fatto impedisce al calciatore di partecipare alle sedute di allenamento, ovvero alla preparazione precampionato, potrebbe rappresentare una condotta di mobbing ove venga reiterato (frequente ricorrenza), in un cospicuo lasso di tempo (durata), in assenza di una valida causa di giustificazione, e manifesti un intento di ostilità (vessatorietà), con efficacia lesiva della personalità dell’atleta (incisività).  Il rapporto di lavoro sportivo tra atleta e società può dar quindi luogo a mobbing nel caso in cui il rapporto di lavoro abbia natura subordinata (ci sono dei casi in cui i calciatori lavorano come lavoratori autonomi, ad esempio quando vengono convocati nelle nazionali)  e che gli atti persecutori siano molteplici, ripetuti nel tempo, caratterizzati da una particolare intensità e frutto di una condotta preordinata alla emarginazione del soggetto passivo. In questo senso infatti è stato espressamente escluso dalla giurisprudenza che configuri mobbing “lo stato di fisiologica contrapposizione tra le diverse componenti di un rapporto di lavoro, in quanto mera conseguenza di tensioni suscitate dalla difficile, problematica scomponibilità delle attese o obiettivi dei lavoratori; né costituisce mobbing il saltuario ricorso, da parte del datore di lavoro, a misure di ordine organizzativo illegittime, o l’assunzione, sempre da parte di costui, di occasionali contegni illegittimi sul piano dei rapporti personali e scientemente preordinati ad escludere il soggetto destinatario” (Trib. Cassino, 18 dicembre 2002).  La fattispecie sin qui considerata presenta quali parti da un lato il mobber che è la società sportiva e, dall’altro, in veste di mobbizzato, il giocatore. Un’altra fattispecie che è stata oggetto di attenzione da parte della dottrina coinvolge la figura dell’allenatore il quale può anch’egli, per scelta personale e non su ordine dei vertici della società, avere un atteggiamento che può ricadere nella condotta mobbing, escludendo il giocatore dalle sedute di allenamento o dalla preparazione  precampionato. In proposito, l’art. 18 dell’Accordo Collettivo tra allenatori professionisti e società sportive, prevede che “L’allenatore, in relazione alle funzioni affidategli, si impegna a tutelare e valorizzare il potenziale atletico della società e predisporre ed attuare l’indirizzo tecnico, l’allenamento e ad assicurare l’assistenza nelle gare della, o delle, squadre a lui affidate di cui assume la responsabilità. Egli inoltre collabora con la società nel promuovere fra i calciatori la conoscenza delle necessarie norme igieniche, regolamentari e tecniche, nel sorvegliare la condotta morale e sportiva dei calciatori, nel favorire e sviluppare lo spirito di corpo e l’affiatamento umano dei calciatori della società stessa”.  L’art. 19 dello stesso Accordo Collettivo, dispone poi che l’allenatore “è tenuto a mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità e di rettitudine sportiva, nonché ad assumere un comportamento di vita appropriato all’adempimento degli impegni sportivi assunti”. Inoltre è obbligato al rispetto delle istruzioni impartite dalla società, a rispettare il dovere di fedeltà nei confronti della stessa società e a fornire esempio di disciplina e di correttezza civile. A fronte degli obblighi sopradetti che incombono sull’allenatore, questi ha diritto di non subire interferenze da parte della società riguardo alle scelte di natura tecnico – sportiva. Infatti l’art. 17, comma 2, del medesimo Accordo,  dispone che ” La società non potrà, inoltre, effettuare alcuna ingerenza nel campo delle competenze tecniche dell’allenatore, tale da  non consentire allo stesso lo svolgimento utile del proprio lavoro o da apparire pregiudizievole per la stessa immagine dell’allenatore”. Il giocatore, quand’anche impiegato in veste di titolare nelle gare sportive, non acquista il diritto di giocare in prima squadra ne di giocare in un dato ruolo. Pertanto, ove l’atleta si rifiutasse di giocare in un ruolo diverso da quello a lui gradito, potrebbe incorrere in un’ipotesi di inadempimento contrattuale, per violazioni dell’obbligo di eseguire la prestazione sportiva con l’osservanza delle istruzioni tecniche e delle altre prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici (art. 10 Accordo Collettivo calciatori di Serie A).  Ciò detto, sarebbe difficilmente ipotizzabile una condotta mobber attuata dall’allenatore ai danni dei giocatori nell’esercizio delle proprie funzioni. Tuttavia, la scelta dell’allenatore di non utilizzare un dato giocatore, che in astratto è da ritenersi di per se lecita, potrebbe in concreto divenire illecita, ove non sia suffragata da alcuna valida ragione, e come tale integrare gli estremi dell’inadempimento contrattuale, sotto il profilo della violazione dell’obbligo gravante sull’allenatore di valorizzare il potenziale tecnico messogli a disposizione dalla società. Anche a voler riconoscere l’illiceità di una siffatta condotta, sotto il profilo della responsabilità contrattuale, si resterebbe comunque al di fuori della condotta di mobbing, giacché il soggetto riconosciuto come portatore dell’interesse leso sarebbe la società, e non già il giocatore estromesso. Ciò nonostante, qualora, ad esempio, l’esclusione dal campo di gioco sia protratta per un lungo periodo, senza una valida giustificazione sul piano tecnico sportivo, e a ciò si accompagni una serie di azioni dirette a umiliare l’atleta ed a privarlo della simpatia dei suoi compagni di squadra si potrebbe configurare una fattispecie di mobbing. Per l’esattezza ci troviamo di fronte  a mobbing di carattere  verticale, che è quello posto in essere tra soggetti con grado e qualifiche diversi e, in specie, di c.d. bullying che è il mobbing  attuato da un superiore gerarchico (si può anche definire mobbing verticale discendente), ove la condotta di mobbing sia stata attuata all’insaputa della società, ovvero di c.d. bossing, ove lo stesso allenatore abbia agito ubbidendo ad una  precisa strategia aziendale. Infine, anche la fattispecie di mobbing orizzontale che è, invece, quello attuato tra colleghi di lavoro pari ordinati può ravvisarsi nell’ambito del lavoro sportivo. L’esempio significativo è quello del comportamento posto in essere dai compagni di squadra che isolino il calciatore in tutte le fasi di gioco, così da comprometterne la prestazione sportiva, sia durante gli allenamenti che nel corso della gara sportiva, con il fine specifico di provocarne l’allontanamento da parte della società. L’obiezione avverso la configurabilità di tale ipotesi come mobbing, basata sul rilievo dell’assenza di un rapporto contrattuale tra i giocatori, non appare decisiva al fine di escludere una soluzione in termini positivi.  Sia la dottrina maggioritaria che la giurisprudenza ( si veda a riguardo, a mero titolo di  esempio, la  Sentenza della Cass. civ., sez. lav., 6 marzo 2006, n. 4774 Ric. Meneghello – c. Unicredit Spa ) preferiscono ricondurre il mobbing nell’alveo della responsabilità contrattuale, mediante il riferimento normativo all’art. 2087 c.c., che, come è noto, prescrive a carico del datore di lavoro l’obbligo di “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri prestatori di lavoro”. In particolare, l’art. 2087 c.c. enuclea un obbligo di protezione a carico del datore di lavoro nei riguardi dei propri dipendenti, il cui contenuto va interpretato alla stregua del canone generale della buona fede, cosicché l’accertamento della sussistenza di una condotta mobbizzante risulta indipendente dall’accertamento della violazione di specifici obblighi legali incombenti sul datore di lavoro che si traducano, ad esempio, in fatti di demansionamento nell’ambito del lavoro subordinato non sportivo, licenziamento senza giusta causa o condotta antisindacale anche nell’ambito del lavoro subordinato sportivo. L’art. 2087 c.c., nell’interpretazione suggerita sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza favorevoli alla riconduzione del mobbing entro l’area della responsabilità contrattuale, implica l’addossamento a carico del datore di lavoro delle conseguenze derivanti dalle condotte attuate dai dipendenti ai danni di altri dipendenti. In questa prospettiva si pone la pronuncia della Suprema Corte in tema di mobbing orizzontale (Cass. Sez. Lav., 25 maggio 2006, n. 12445) che ha accolto la domanda di risarcimento danni di una lavoratrice, a fronte della mancata adozione da parte dell’ente datoriale degli obblighi di protezione ex art. 2087 c.c., pur essendo l’evento dannoso riconducibile ad altro dipendente dell’azienda, non gerarchicamente sovraordinato. Anche nel rapporto di lavoro sportivo può trovare applicazione l’art. 2087 c.c., che riconosce in capo al datore di lavoro la responsabilità contrattuale per i danni dipendenti dalla mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Tra queste misure va compresa quella di controllo dell’operato dei sottoposti, al fine di impedire l’attuazione di condotte mobbizzanti da parte di alcuni di essi ai danni di altri. Il riconoscimento sul piano giuridico della fattispecie del mobbing implica la valutazione in termini di illiceità del comportamento attuato dal mobber, con conseguente diritto al risarcimento dei danni patiti dal mobbizzato. In proposito, è da rilevare che la illiceità del mobbing è stata riferita dagli interpreti in un primo momento nell’area della responsabilità extracontrattuale e, in un secondo momento, a quella della responsabilità contrattuale, con evidenti ripercussioni sul piano dell’onere probatorio a carico del ricorrente. L’inquadramento del mobbing nell’ambito della responsabilità contrattuale reca le conseguenze favorevoli in capo a colui che assume di essere stato vittima di mobbing, rappresentate dall’inversione dell’onere probatorio rispetto a quanto avviene nell’azione ex art. 2043 c.c., e dalla previsione del più lungo termine prescrizionale decennale, invece che del termine quinquennale previsto per illecito aquiliano. Pertanto, sul piano probatorio, incombe sul lavoratore l’onere di allegazione dei fatti costituenti l’inadempimento del datore di lavoro (condotte datoriali caratterizzate da sufficiente idoneità offensiva e vessatoria), mentre incombe sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver posto in essere tutte le misure possibili ad evitare il danno lamentato. Nella responsabilità extracontrattuale invece, colui che agisce è tenuto a dimostrare non solo l’esistenza del danno e l’esatto ammontare dello stesso ma finanche la riconducibilità di detto evento ad una condotta imputabile al soggetto contro il quale si agisce (nesso causale). Va, infine, osservato come da una parte della dottrina, con l’avvallo anche di parte della giurisprudenza, si sostenga la possibilità del ricorso sia alla disciplina in materia di responsabilità contrattuale, che a quella in materia di responsabilità extracontrattuale in relazione ad una stessa fattispecie di mobbing. In base al citato orientamento, dunque, l’obbligo previsto dall’art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, risulterebbe compatibile anche con il divieto di comportamenti commissivi e/o omissivi, lesivi dell’integrità psicofisica del lavoratore, che, in quanto caratterizzanti da colpa o dolo, diventano fonte di responsabilità extracontrattuale per inosservanza del generale principio in base al quale tutti sono tenuti al dovere (generico) di non ledere l’altrui sfera giuridica (in giuridichese: divieto del neminem laedere).

Bene, spero che siate sopravvissuti a questa piacevole tortura che è stato il mio articolo in cui ho cercato di spiegare cosa sia il mobbing cercando di essere il più possibile completo. Possiamo adesso affrontare il caso Icardi, dove tutti sanno tutto fuorché il sottoscritto. Io vado per ipotesi:

Ipotesi numero 1) A Icardi è stata tolta la fascia di Capitano perché si è presentato in ritardo ad un allenamento o peggio il giorno dopo o per qualche altro motivo comunque ben documentato e motivato, non c’è mobbing;

Ipotesi numero 2) Il togliere la fascia ad Icardi è stato il primo di una serie di atti che avevano come unico scopo quello di isolarlo dal resto della squadra per poi cederlo, c’è mobbing. In questo caso conta poco che l’iniziativa sia partita da Spalletti o dalla Società, c’è comunque mobbing.

Ipotesi numero 3) Il togliere la fascia ad Icardi è stata una iniziativa fatta più che altro per accontentare una parte dello spogliatoio che non lo sopportava più (si sussurra in particolare di Perisic e Brozovic)  che poi ha completato l’opera cercando di isolarlo, c’è mobbing.

Ma Icardi poi ha lamentato un infortunio vero o presunto che lo ha tenuto fuori dal campo per buona parte del resto della stagione:

Ipotesi numero 1) L’infortunio c’è, ci sono le cartelle cliniche che lo dimostrano, la Società non può fare niente;

Ipotesi numero 2) L’infortunio non esiste, è tutta una invenzione che aveva come unico scopo quello di allontanarlo dal gruppo e farlo inimicare alla tifoseria con l’ausilio della stampa, c’è mobbing;

Ipotesi numero 3) L’infortunio non esiste, semplicemente Icardi dopo che gli è stata tolta la fascia ha cominciato a fare i capricci perché se ne voleva andare o altri motivi a me ignoti, non c’è mobbing da parte della società ma c’è inadempimento contrattuale da parte di Icardi.

Considerazioni personali: difficile che Icardi non riesca a procurarsi un eventuale certificato medico e poi mi è sembrato che in più circostanze abbia chiesto tramite la moglie di essere reintegrato nel gruppo, ricordo in particolare una puntata della trasmissione Tiki taka in cui la moglie/agente è scoppiata in lacrime confessando di aver chiesto l’aiuto anche di Moratti. A questo va aggiunto che Icardi ha fatto più volte richiesta di un confronto con la Società che gli è sempre stato negato e si è trovato costretto a fare ricorso ad un avvocato per essere reintegrato nella squadra. Aggiungo che Icardi potrebbe anche affermare che l’infortunio di cui è stato vittima sia comunque conseguenza della grave situazione di sconforto in cui è crollato a seguito del comportamento vessatorio tenuto dalla Società nei suoi confronti.

Resta di fatto certo che ultimamente Icardi, nonostante una lettera del suo Avvocato che invitava la Società a non persistere in condotte di carattere vessatorio nei suoi confronti, è stato di fatto estromesso dal gruppo, si allena a parte, non è partito per la tournée asiatica, gli è stata tolta pure la maglia numero 9 che è stata data a Lukaku per decisione unilaterale mentre la stampa continua a scrivere che lui voglia la Juve, cosa molto strana se si considera che soltanto l’anno scorso tutti gli approcci fatti dalla società bianconera all’attaccante argentino siano stati di fatto rispediti al mittente. Mia opinione personale: c’è mobbing, o meglio, ci sono tutti gli estremi per avviare, a mio parere, una azione di carattere civile per il risarcimento del danno a seguito di una serie di atti ricadenti nel mobbing, poi cosa farà l’avvocato di Icardi ovviamente non lo posso sapere come non posso sapere quali possano essere le possibili contromosse della Società nero azzurra.

N.B. Aggiungo, dato che da certi commenti pare che qualcuno non l’abbia capito: l’articolo ha come unico scopo quello di spiegare cos’è il mobbing e in particolare cos’è il mobbing in campo sportivo poi, alla fine, io ho espresso la mia opinione che non è assolutamente vincolante e ognuno è libero di farsi la sua.

 

 

 

 

La strana storia di Romeo e Gianluca Paparesta – Parte quarta. L’estromissione di Gianluca Paparesta

Come detto nel precedente articolo sulla sagra dei Paparesta coinvolti in calciopoli loro malgrado, Gianluca smise di arbitrare all’età di 38 anni dopo aver arbitrato anche nella stagione successiva a quella incriminata e dopo che si era quindi svolto già il processo sportivo in cui fu inibito per tre mesi perché aveva omesso di porre a referto l’incursione di Moggi nello spogliatoio dopo la partita Reggina Juve. Quando Gianluca Paparesta arbitrò la sua ultima stagione, il campionato 2006/07, presidente della FIGC o meglio, commissario straordinario della FIGC, era, come tutti sappiamo, Guido Rossi a cui subentrò il 21/09/2006 Luca Pancalli il quale, sebbene personaggio comunque di spicco del mondo sportivo, in particolare di quello paraolimpico, era comunque un personaggio completamente al di fuori da ogni logica di potere considerando che non aveva mai ricoperto alcun ruolo all’interno della FIGC fino a quel giorno.  A riguardo è sufficiente leggersi   la sua biografia: https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Pancalli?fbclid=IwAR3ZXhgstRVsCYm5iCKdcrwGv56aW8cL8lai48p0cVE3GSFy6Cyht5zDAX8 .  Il 2 aprile del 2007 finì l’era dei commissari straordinari e venne eletto Presidente della FIGC Giancarlo Abete mentre già era diventato designatore arbitrale, in seguito alle improvvise dimissioni di Stefano Tedeschi, Cesare Gussoni. Credo che sia opportuno ricordare sia pur con brevi cenni queste due figure.
La prima di cui sicuramente tutti avrete già sentito parlare è Giancarlo Abete.  Egli era in lotta con Carraro per la poltrona di Presidente della FIGC. Il 14 febbraio 2005 divenne presidente della FIGC Carraro grazie ad un accordo, con il benestare della dirigenza juventina, con Abete per cui, all’insegna della continuità, Carraro sarebbe stato Presidente per 2 anni e poi gli sarebbe subentrato Abete      (http://www.repubblica.it/2004/l/sezioni/sport/calcio/carraconf/carraelet/carraelet.html?ref=search ).
È giusto ricordare anche che i dirigenti della Juve insieme ad altri componenti del calcio nostrano come Lanese, i designatori, Mazzini e altri, si erano più volte riuniti per fare in modo, come non si sa, di queste riunioni purtroppo non ci sono filmati, non ci sono audio, non si sa cosa si sono detti, è per questo che Lanese è stato assolto, che Carraro venisse rieletto.
Di Gussoni invece ho parlato un paio di articoli fa. Ricordiamo per brevi cenni. Romeo Paparesta, il padre di Gianluca, arbitrò nel campionato 1988/89 la partita Juventus Cesena. Al momento del rientro negli spogliatoi, alla fine del primo tempo, un petardo esplose nelle vicinanze del giocatore del Cesena Sanguin il quale svenne.  Sanguin non fece poi rientro in campo nel secondo tempo e venne portato in ospedale. Romeo Paparesta non fece altro che refertare il tutto. Sulla base del suo referto, il Cesena ottenne la vittoria per 2-0 a tavolino sebbene in più circostanze il designatore arbitrale Gussoni appunto, gli avesse chiesto, anche di fronte all’evidenza dei fatti e dei referti medici, se fosse sicuro che le cose fossero andate così. Lo stesso anno, dopo questo episodio, Romeo Paparesta fu dismesso dal ruolo arbitrale. Strana storia quella dei Paparesta, sbagliano se refertano e sbagliano anche quando non refertano.
Quindi il 2 aprile del 2007, quando Gianluca Paparesta era considerato fra i migliori arbitri in circolazione ed era appena stato designato per i mondiali under 20 che si dovevano disputare in Canada, Gussoni e Abete erano entrambi operativi. Cinque giorni dopo, il 7 aprile 2007, Paparesta arbitrò la sua ultima partita, Bologna Napoli di Serie B. Dopo altri cinque giorni poi, Il 12 aprile, Gianluca Paparesta ricevette un avviso di garanzia per l’inchiesta calciopoli e venne sospeso in via cautelare ma venne comunque rassicurato sia da Gussoni che da Collina riguardo al suo ritorno nei ranghi arbitrali una volta chiarita la sua posizione. È bene chiarire che nel campionato 2006/07 Collina era consulente di Gussoni e nel campionato successivo divenne designatore arbitrale. Il 25 febbraio del 2008, praticamente meno di un anno dopo, Paparesta fu prosciolto da ogni accusa ma non tornò ad arbitrare sebbene, come già scritto, avesse ricevuto rassicurazioni sia da parte di Collina che di Gussoni di un suo immediato rientro nei ranghi arbitrali una volta chiarita la sua posizione. Sulle prime le motivazioni date sia da Gussoni che nel frattempo era diventato presidente dell’AIA che da Collina nel frattempo diventato designatore unico, erano che oramai il campionato era già iniziato quando Paparesta fu prosciolto, quindi era preferibile aspettare, non anticipare i tempi e rientrare con il campionato nuovo e non in quello attualmente in atto, così sarebbe venuto al raduno e li avrebbe ripreso insieme a tutti gli altri. Per convincerlo della bontà delle promesse fattegli,  aggiunsero oltretutto che non era il caso di incominciare a campionato già in corso per evitare una pressione mediatica eccessiva e che sarebbe stato meglio appunto rincominciare con un graduale reinserimento.  Furono promesse da marinaio, Gianluca Paparesta non arbitrerà più una partita di calcio. Stando a quanto detto da Gianluca Paparesta  in udienza, dopo che aveva risolto ogni genere di problema in sede penale, ci fu l’introduzione di una nuova regola all’Interno dell’AIA per cui gli arbitri che erano a disposizione da più di 10 anni e non erano diventati internazionali dovevano essere dismessi. Tale nuova norma non preoccupò minimamente Gianluca Paparesta  perché lui era internazionale sennonché, a fine giugno, proprio in prossimità del rifacimento degli organici, questa norma venne modificata per cui, tutti gli arbitri che avevano 10 anni di anzianità, a prescindere dal fatto che fossero internazionali o meno, dovevano essere dismessi . Appena appreso dell’esistenza di questa norma, Gianluca Paparesta  inviò  immediatamente una missiva all’AIA diffidandola ad applicarla in quanto da lui considerata palesemente norma “ad personam” , una maniera come un’altra per toglierselo dalle scatole per intenderci . La diffida di Gianluca Paparesta fu accolta ed infatti questa norma non fu applicata e venne quindi dismesso non in applicazione di questa nuova norma ma per semplici motivi tecnici senza che questi gli venissero resi noti. Questa decisione parve subito alquanto strana perché non era stata presa dall’organo tecnico che valuta gli arbitri ma dal Comitato nazionale di cui Gussoni era il Presidente e per questo fu subito impugnata sia di fronte al CONI che di fronte al TAR. Entrambi i ricorsi diedero esito positivo per Gianluca Paparesta perché appunto la “decisione” era priva di motivazioni e fu quindi sospesa . La FIGC insieme all’AIA  fece ricorso al Consiglio di Stato (l’appello del TAR)

che gli dette comunque torto dando quindi ancora ragione a Gianluca Paparesta perché mancavano appunto le motivazioni. In altre parole Gianluca Paparesta era stato estromesso senza un perché. A quel punto Collina, divenuto nel frattempo designatore arbitrale, emise come motivazione per la dismissione di Paparesta una bellissima pezza a colori:”Paparesta poiché non aveva arbitrato per un anno non poteva rientrare nei ruoli”. Il che era semplicemente assurdo come ha sottolineato Romeo Paparesta in udienza, “sarebbe un po’ come dire che un giocatore che è stato fermo un anno per infortunio non può più tornare a giocare, almeno gli si da la possibilità di provarlo. Quanto meno avrebbero dovuto sottoporlo ai test atletici per vedere se era in condizione di arbitrare oppure no come oltretutto previsto dai regolamenti, cosa che invece non è mai avvenuta”. Tale decisione è stata nuovamente impugnata di fronte al CONI con esito negativo      https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/sport/85310/l-arbitrato-del-coni-respinge-il-ricorso-di-paparesta.html

Possiamo quindi concludere affermando che Gianluca Paparesta è stato sostanzialmente estromesso senza un motivo plausibile, a voler pensar male o meglio, abbracciando la tesi da lui stesso sostenuta in una intervista presso il salotto televisivo di “ Quelli che il calcio” il 15/03/2009, lui è stato estromesso “da un sistema in grado di manipolare e stravolgere la realtà” perché “la gente non funzionale al sistema non poteva andare avanti perché la giustizia all’interno del mondo sportivo era una giustizia sui generis e chi non era funzionale al sistema dava fastidio”  cosicché, mentre persone che sono state coinvolte e che erano ancora dentro calciopoli erano tornate tranquillamente a ricoprire i loro ruoli, lui, reo di non aver concesso un rigore alla Juve e di avergli annullato un gol nella partita con la Reggina è stato completamente estromesso. Stando a quanto da lui affermato, il tutto è avvenuto perché ci sono ancora all’interno della Federazione una serie di intrecci e connivenze e soprattutto sono presenti più o meno gli stessi personaggi che c’erano prima e il timore di Paparesta era che potesse pesare anche il fatto che lui sarebbe stato testimone dell’accusa, insieme al padre, al processo penale Calciopoli.

Possiamo quindi concludere questo articolo e questa serie di articoli su Paparesta decidendo se condividere o meno quanto da lui affermato e velatamente fatto capire in questa intervista, ossia che lui era un personaggio scomodo non schierato a favore della Juve e del sistema in generale e che avrebbe comunque testimoniato unitamente al padre al processo penale Calciopoli ricordando che la testimonianza soprattutto del padre tutto è stata tranne che favorevole a Moggi come già spiegato un paio di articoli fa ed è per questo che è stato estromesso. Per capirlo bisognerebbe innanzitutto capire a chi si riferisse di preciso Gianluca Paparesta quando ha affermato in televisione che altri personaggi coinvolti in calciopoli erano tranquillamente rimasti al loro posto o comunque erano stati reintegrati. Degli esempi potrebbero essere Tagliavento anch’egli assolto come Gianluca Paparesta in sede di udienza preliminare e Rocchi assolto invece in primo grado nel procedimento abbreviato ma la lista è lunga, si potrebbero anche citare Collina e Galliani ma di contro si potrebbe pure citare Pieri anch’egli assolto nel processo penale Calciopoli sebbene, a mio parere, con molti dubbi ma anch’egli completamente estromesso dai ruoli sebbene la sua direzione di gara nella partita Bologna Juve è stata decisamente favorevole a quest’ultima. È una lista lunga che mi riserbo di approfondire nei prossimi articoli per poter giungere a delle conclusioni accettabili.