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Allora, come sempre, salve a tutti. Dato che il ricorso alla Cassazione su “Calciopoli” è alle porte e dato che in tale ricorso si tratterà quasi esclusivamente del capo di imputazione di cui alla lettera a) ossia l’associazione a delinquere, i miei follower mi hanno esplicitamente richiesto di trattare del reato di cui all’art. 416 C.p.  Ancora prima però di affrontare l’associazione a delinquere mi preme oggi elogiare l’operato di Luciano Moggi perché proprio grazie a lui che la giurisprudenza sia sportiva che ordinaria si è notevolmente evoluta nell’ultimo periodo. A riguardo ci terrei a ricordare cosa ha deciso il TAR riguardo alla mancanza di giurisdizione della giustizia sportiva che Moggi lamentava. Per capire bene il tutto va innanzitutto premesso che il secondo periodo del 6° comma dell’art. 36 delle N.O.I.F.(Norme Organizzative Interne della F.I.G.C.), stabilisce che coloro che hanno subito la sanzione della squalifica o della inibizione per durata non inferiore ai trenta giorni, non possono essere tesserati con diversa classificazione durante l’esecuzione della sanzione. Il 7° comma stabilisce, inoltre, che chiunque si sia sottratto volontariamente, con dimissioni o mancato rinnovo del tesseramento, ad un procedimento instaurato o ad una sanzione irrogata nei suoi confronti dagli organi di giustizia sportiva, non può essere nuovamente tesserato. Sulla base di questa normativa, parte della giurisprudenza federale aveva stabilito che nel momento in cui un soggetto, appartenente a qualunque titolo alla Federazione, si dimetteva dalla propria carica perdendo la qualifica di tesserato, non poteva più essere giudicato dagli organi della giustizia sportiva i quali non hanno giurisdizione sui non tesserati. In tale direzione si mosse anche Luciano Moggi che, in “Calciopoli”, ancora prima che fosse avviato il procedimento disciplinare di fronte agli organi di giustizia sportiva, in data 16 maggio 2006,  aveva presentato le dimissioni dalla carica di direttore generale della F.C. Juventus, richiedendo ed ottenendo, contestualmente, la cancellazione dall’Elenco speciale dei Direttori sportivi. Gli organi della Giustizia Federale abbracciarono invece l’altra parte della giurisprudenza federale che la vedeva ovviamente in maniera diversa e inflissero a Moggi, sebbene lui non fosse più tesserato e non facesse quindi più parte dell’ordinamento sportivo, oltre all’inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., l’ammenda di € 50.000,00 per la violazione degli art. 1 e 6 dell’allora vigente C.G.S. Esauriti tutti i gradi di Giustizia Sportiva allora vigenti, ossia sia quelli interni alla Federazione (Corte Federale e Corte d’Appello Federale) che quello del C.O.N.I. (Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport) con ricorso n. 7711/06, Luciano Moggi, come prescrive la legge 17 ottobre 2003 n. 280 che prevede la possibilità di poter ricorrere alla giustizia ordinaria solo dopo aver esperito tutti i gradi di Giustizia Sportiva quando il provvedimento emesso da una federazione va a ledere un interesse legittimo (in tal caso si può ricorrere al T.A.R.) o verte su una controversia di carattere patrimoniale (in questo caso si può ricorrere al giudice ordinario), adì al T.A.R. di Roma avverso le sentenze degli organi di Giustizia Sportiva adducendo, fra i vari motivi di gravame, la loro mancanza di giurisdizione appunto perché lui si era presentato davanti agli Organi di Giustizia Sportiva quando oramai si era già dimesso dalla carica di direttore generale della F.C. Juventus. A riguardo il T.A.R. di Roma, con sentenza  19 marzo 2008, n.2472  stabilì riguardo all’art. 36, 7° comma delle N.O.I.F. che “[…]La norma in questione, […], dispone espressamente soltanto che il tesserato dimessosi (in pendenza di procedimento disciplinare) non può  successivamente chiedere una nuova iscrizione. Ciò per l’evidente ragione di evitare che le dimissioni siano rassegnate al fine precipuo di interrompere il procedimento in corso, salvo poi chiedere la riammissione nell’ordinamento sportivo. Nulla prevede, invece, la norma in ordine all’assoggettabilità a procedimento disciplinare del tesserato dimessosi. Il Collegio ritiene che dalla statuizione espressa del settimo comma non possa trarsi la conseguenza affermata dal ricorrente e che, dunque, nulla impedisca di sottoporre a procedimento disciplinare anche un tesserato già dimessosi. Al fine di giustificare le conclusioni alle quali il Collegio è pervenuto soccorrono – pur con gli opportuni distinguo connessi alla differente natura del rapporto – i principi pacificamente affermati nell’ambito dell’impiego pubblico, nel quale si ammette in via generale l’esperibilità del procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal servizio, nelle ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato, dell’impiegato o della stessa Amministrazione, ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento tenuto in servizio dal dipendente (Cons. Stato, II Sez., 16 maggio 2001, n. 422; T.A.R. Veneto, II Sez., 22 agosto 2002 n. 4514). Tali principi possono essere ragionevolmente trasfusi nel caso in esame nel quale l’interesse dell’ordinamento sportivo a sanzionare un tesserato – pur a fronte della sicurezza che lo stesso non potrà in alcun caso, ex art. 36, settimo comma, N.O.I.F., chiedere una nuova iscrizione – deriva dalla necessità non solo di moralizzare il mondo sportivo accertando sempre e comunque il comportamento asseritamente amorale di un ex iscritto ma anche dal fatto che tra le sanzioni comminabili figura anche quella pecuniaria […]”. Grande è stato quindi l’apporto di Moggi con il ricorso al TAR alla giurisprudenza federale perché grazie al suo ricorso al TAR si è stabilito una volta per tutte che, un soggetto, nel momento in cui, per qualsiasi ragione, esce dall’ordinamento sportivo, rimane comunque vincolato alla Giustizia Sportiva per ciò che ha commesso nel periodo in cui era tesserato. Grazie a Calciopoli e all’operato di Luciano Moggi si è registrata anche una notevole evoluzione giuridica nel C.G.S. con la modifica dello stesso e l’introduzione, all’art. 9, dell’illecito associativo. L’art. 9 del nuovo Codice di giustizia sportiva (C.G.S.), entrato in vigore il 1° luglio del 2007 e poi riformato con decreto del commissario ad acta del 30 luglio 2014 ed approvato con deliberazione del presidente del C.O.N.I. n. 112/52 del 31/7/2014 e entrato in vigore nell’attuale stagione sportiva, così recita:

Art. 9

Associazione finalizzata alla commissione di illeciti

  1. Quando tre o più soggetti tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali si associano allo

scopo di commettere illeciti si applicano, per ciò solo, le sanzioni di cui alle lettere f) e h) dell’art.

19, comma 1.

  1. La sanzione è aggravata nei confronti di coloro che promuovono, costituiscono o gestiscono

l’associazione, nonché per i dirigenti federali e gli associati all’AIA.

A riguardo bisogna comunque dire che le lettere f) e h) del 1° comma dell’art. 19 C.G.S. prevedono:

  1. f) squalifica a tempo determinato, nel rispetto del principio di afflittività della sanzione;
  2. h) inibizione temporanea a svolgere ogni attività in seno alla FIGC, con eventuale richiesta di

estensione in ambito U.E.F.A. e F.I.F.A., a ricoprire cariche federali e a rappresentare le società

nell’ambito federale, indipendentemente dall’eventuale rapporto di lavoro.

Grazie a Moggi è sorta quindi l’esigenza di punire, nel processo sportivo “calciopoli”,  l’associazione finalizzata alla commissione di illeciti. Il Procuratore Federale infatti, nel corso della propria requisitoria pronunciata di fronte alla C.A.F., premise di aver avvertito l’esigenza, per quanto relazionatogli dall’Ufficio Indagine con relazione intitolata “Oggetto dell’indagine espletata –Accertamenti conseguenti agli atti trasmessi dalla Procura della Repubblica di Torino e Napoli – Stagione Calcistica 2004/2005”, depositata in Roma il 19/6/2006 a firma del Capo dell’Ufficio Indagine Dott. Saverio Borrelli, di contestare ad alcuni incolpati il fatto di essersi associati allo scopo di compiere atti contrari all’ordinamento sportivo ma di non aver potuto iniziare l’azione disciplinare per tale fattispecie, in quanto non prevista come illecito dal Codice di Giustizia Sportiva all’epoca vigente. Tale osservazione, fu ripresa sia nella decisione del giudice di primo grado (che in questo caso fu la C.A.F.), sia in quella del giudice di secondo grado  (che in questo caso fu la Corte Federale). In particolare, nella decisione relativa al Comm. Uff. n. 1/C riunione del 29 giugno /2-4-5-6-7 luglio 2006 emessa dalla C.A.F. all’esito della Camera di Consiglio in Roma dal 7 al 14 luglio 2006 pubblicata il 14 luglio 2006, a pag 91 testualmente si legge “…   Le condotte agli stessi attribuite (Mazzini, Pairetto, Lanese e De Santis N.d.R.) non possono essere valutate in questa sede disciplinare nella prospettiva di un quadro associativo, come del resto ha tenuto a sottolineare la stessa Procura federale …”. A pag. 58 della decisione di secondo grado della Corte Federale del medesimo procedimento, Comm. Uff. n. 2/CF riunione tenutasi dal 22 luglio al 25 luglio 2006 emessa dalla Corte Federale all’esito della Camera di Consiglio in Roma del 24 e 25 luglio 2006 pubblicata il 4 agosto 2006, testualmente si legge “ … Al tempo stesso, la Corte, nel doveroso adempimento della propria funzione nomofilattica”, ossia di andare a vedere se le norme siano o no state applicate correttamente,”non può fare a meno di segnalare la necessità di radicali interventi di riforma dell’ordinamento federale in vista del necessario adeguamento a quello statuale e comunitario in una serie di delicate materie, che sono andate emergendo nel presente procedimento (quali, a titolo di esempio, la mancata previsione di illeciti di natura associativa e di prescrizioni cogenti relativamente alla costituzione ed al funzionamento degli organi collegiali di giustizia sportiva) e rispetto alle quali oggi il diritto sportivo non appare sempre pronto, per difetto di puntuali disposizioni, ad intervenire con la dovuta effettività”. A pagina 59 venne poi ribadito, nella decisione della Corte Federale, il medesimo concetto: “Venendo ora all’esame dei capi di incolpazione, va subito affrontata una questione di metodo, consistente nella individuazione dello scenario nel quale, tanto dal punto di vista soggettivo, quanto da quello oggettivo, va inquadrato il presente procedimento. Lucidamente la CAF rileva che esso non riguarda un “sistema” ma una serie di reticoli autonomamente attuati dalle varie società incolpate, sia pur all’interno di un’atmosfera inquinata che incombeva sul campionato di serie A 2004 – 2005 (pagg. 74 e 75). Quest’impostazione, perfettamente rispondente all’articolata e coerente struttura dell’atto di accusa, appare un necessario corollario della mancata previsione nell’ordinamento federale di una fattispecie di illecito associativo, modellata sull’esempio del diritto comune: l’altrettanto logica conseguenza di questa lacuna ordinamentale è che, anche in questo grado, il metodo di analisi della Corte debba procedere con riguardo alle singole posizioni, quali vengono in rilievo dalle constatazioni mosse a ciascuna società: è consequenziale che tutte le posizioni debbano essere affrontate e giudicate applicando i rigorosi standard probatori propri di ciascuna contestazione, rivelandosi inapplicabili quelli, più agili e collaudati nell’ordinamento di diritto comune, dell’illecito associativo. Tuttavia, quest’esame per posizioni non impedisce che l’operato di specifici incolpati acquisti efficienza in più vicende, apparentemente slegate, ma tra loro, avvinte proprio dalla partecipazione dei medesimi soggetti alle vicende stesse (il punto si chiarirà tenendo conto delle fondamentali implicazioni della posizione di Moggi, anche al riguardo alla gara Lecce – Parma, in occasione della quale fu interlocutore telefonico di Diego Della Valle)”. Altro passaggio rilevante sull’argomento lo si trova a pagina 61 della Decisione della Corte Federale ove si legge: “Ulteriormente, la decisione impugnata ha osservato che, nella struttura dell’atto di accusa, sono individuabili specifiche condotte di per sé violative dei generali canoni posti dall’art. 1 citato, il cui insieme è stato giudicato idoneo a realizzare il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale a vantaggio della Juventus, così risolvendosi in un’attività diretta a portare alla società un vantaggio in classifica. Ed i primi giudici hanno espressamente aderito, in linea di principio, a questa impostazione metodologica, diretta a surrogare la già segnalata carenza di punibilità in ambito federale dell’associazione di più persone al fine di commettere un indeterminato numero di illeciti. La Corte è dell’avviso che debba, logicamente, far precedere alla valutazione del materiale probatorio a suffragio della impostazione prima illustrata il giudizio sull’ammissibilità, espressamente contestata nelle impugnazioni degli appellanti, condannati in primo grado, della doppia rilevanza disciplinare di una medesima condotta, considerata una prima volta atomisticamente ed in sé, nella prospettiva che essa esprima il disvalore deontologico di cui all’art. 1 CGS e riguardata cumulativamente ad altre condotte, nell’ottica finalistica che essa abbia realizzato l’attività rivolta all’alterazione di gare, disciplinata, come illecito sportivo, dall’art. 6 dello stesso codice. La Corte ritiene che la decisione impugnata non meriti, sul punto, alcuna censura. Ed invero, occorre prendere le mosse della struttura formale delle due violazioni regolamentari di cui si tratta, e cioè l’art. 1 e l’art. 6 C.G.S. La prima disposizione sancisce un generico obbligo di “lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto, comunque, riferibile all’attività sportiva”, così lasciando intendere che l’infrazione al criterio generale di condotta in ambito sportivo può assumere configurazioni libere, cioè non predeterminabili in ragione della loro forma e delle loro manifestazioni, ma qualificabili in funzione della lesione del bene giuridico protetto dalla norma. Ciò non toglie, tuttavia, che le condotte antigiuridiche, ai sensi dell’art. 1, possano in concreto acquisire rilevanza casualmente efficiente nella prospettiva della commissione di altre violazioni, costituendone mezzi idonei per la realizzazione, altrimenti non verificabile o verificabile solo a condizioni diverse. Ora, poiché l’art. 6, comma 1, prevede come illecito sportivo “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad attuare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”, è evidente che, anche nella conformazione della norma in esame e coerentemente con la stessa impostazione del sistema normativo dell’organizzazione federale, la nozione di mezzo quale strumento per il compimento degli atti, in essa descritti, non soggiace ad alcuna predeterminazione di tipicità e ricava la sua riconducibilità, in concreto, all’alveo della disposizione a seguito della sua accertata capacità di consentire il compimento dell’atto punibile. Ecco, allora, che nella ricostruzione dell’illecito sportivo occorre guardare alla natura dell’atto – tema che sarà affrontato in seguito – e, nel contesto di questa indagine, è necessario giudicare della relazione di efficacia causale del mezzo in concreto prescelto rispetto al compimento dell’atto. Logicamente, nessun diaframma è ragionevole interporre ad una doppia valutazione di rilevanza di una medesima condotta, sussumendola nei binari del generale disvalore deontologico e, in ottica diversa, concependola come ineliminabile tassello strumentale nella realizzazione dell’illecito ex art. 6, senza che ciò si traduca – a differenza di quanto sostenuto dalle difese nel corso della discussione orale – in una (inammissibile) somma algebrica di singole condotte qualificate come antidoverose ex art. 1 e senza che l’operazione valutativa, di cui si dice, determini l’assorbimento di tali condotte nel paradigma dell’illecito sportivo con (insussistente) perdita della loro originaria natura e rilevanza (ed in questo senso va rettificata la motivazione di primo grado, senza effetti quoad poenam, in difetto di appello).  Deve, infatti, escludersi, alla stregua della struttura delle due norme e dei differenti beni giuridici protetti, che vi sia un rapporto di necessaria inerenza delle condotte genericamente antidoverose alla figura dell’illecito o che esse se ne possano considerare elemento costitutivo: si tratta di un occasionale, di volta in volta da verificare, apporto causale alla realizzazione dell’illecito sportivo fornito da una condotta, comunque, espressiva di una trasgressione all’ordinamento sportivo. Il giudizio che compete, quindi, a questa Corte, una volta risolta, in senso confermativo della decisione impugnata, la questione di principio, è quello circa la sufficienza del materiale probatorio per affermare, da un canto, la sussistenza delle condotte contestate ed a stabilirne, d’altro canto, l’idoneità a convertirsi in mezzi utili al compimento degli atti previsti dall’art. 6, comma 1, C.G.S. Anche a questo proposito la Corte non ha dubbi nel dichiarare che i primi giudici, contrariamente a quanto sostenuto in tutti gli appelli degli interessati, hanno fatto ineccepibile governo del proprio compito relativamente ad entrambi i punti, con la conseguenza che tutta la parte della decisione concernente la posizione della Juventus va confermata in termini di affermazione di responsabilità, con le modifiche peggiorative, conseguenti all’impugnazione della Procura Federale, delle pene irrogate a taluni incolpati e migliorative, in relazione ai rispettivi appelli, per altri incolpati, nei termini di seguito esposti. Opportunamente la sentenza impugnata pone una doppia premessa al proprio giudizio: essa va condivisa e fatta propria da questa Corte, con le precisazioni che seguono quanto alla prima …..”.

A riguardo vanno quindi fatte alcune osservazioni, innanzitutto bisogna prendere il 1° comma dell’art. 6 C.G.S. esattamente come era formulato all’epoca del processo di “Calciopoli” e come è adesso formulato all’art. 7 comma 1 dell’attuale C.G.S. Esso così disponeva e tuttora dispone all’art. 7 comma 1:” Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica, costituisce illecito sportivo.” Come possiamo ben notare l’illecito era ed è tuttora formulato con la forma della consumazione anticipata che va a punire tutti gli atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma ossia lo svolgimento (leale) della gara. Possiamo quindi dedurre che tutte le violazioni di cui all’epoca dei fatti all’art. 1 CGS e ora 1 bis ossia: il dovere di comportarsi con  correttezza, probità e lealtà imputate a Moggi di cui la Juve ne ha risposto per responsabilità diretta, ossia tutti quei comportamenti tenuti da Moggi come il contattare direttamente i designatori e gli arbitri siano stati considerati oltre che violazioni dell’art. 1 C.G.S. anche atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 6, 1° comma dell’allora vigente C.G.S.,  per cui Moggi e conseguentemente la Juve sono stati incolpati della violazione degli articoli 1 e 6 del C.G.S. A riguardo di assurdità ne ho sentite tante, la prima, forse la più grave è che alla Juve non sono stati imputati illeciti. Falsissimo, la Juve in quanto società risponde sempre per responsabilità diretta degli illeciti commessi a suo vantaggio dai suoi dirigenti, il tutto era previsto dall’art. 2 comma 4 dell’allora vigente C.G.S. e il tutto è ribadito nell’attuale C.G.S. all’art. 4 comma 1. Possiamo inoltre notare che l’illecito sportivo di cui all’art. 6 comma 1 dell’allora vigente C.G.S. ora art. 7, comma 1, è molto simile all’art. 1 della legge 401/1989 sulla frode sportiva. Infatti entrambe le norme sono formulate con lo schema della consumazione anticipata ed entrambe vanno a punire gli atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma ossia il corretto e leale svolgimento della gara. Nel processo sportivo i rapporti che ha avuto Moggi con il settore arbitrale oltre che essere stati considerati violazioni dell’allora art. 1 CGS ora 1 bis C.G.S. sono stati considerati atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 6 C.G.S., nel processo penale invece, i rapporti che Moggi aveva con il mondo arbitrale sia con i designatori che con gli arbitri tramite le telefonate che ci sono state mediante le schede svizzere, sono stati alla stessa maniera considerati atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice sulla frode sportiva che è sempre lo stesso, ossia il corretto e leale svolgimento della gara. Possiamo quindi trovare una certa assonanza fra l’art. 6 ora 7 C.G.S. e il reato di frode sportiva per cui possiamo tranquillamente dire che ogni condanna per frode sportiva anche se oramai prescritta equivale un art. 7 dell’attuale C.G.S. quindi, di conseguenza, se volessimo allo stato attuale fare la revisione del processo sportivo, la situazione di Moggi e, conseguenzialmente della Juve, sarebbe peggiore di come si delineò quando ci fu il processo sportivo nel 2006. C’è stato un certo Guido Vaciago, giornalista di Tuttosport, che ha affermato che sulla base della sentenza Casoria si potrebbe già riaprire il processo sportivo per ottenerne la revisione. Il tutto è assolutamente sbagliato perché: il sorteggio sarà stato anche non truccato, come dice Vaciago a supporto della sua tesi ma, sulla base delle sentenze, erano comunque truccate o meglio alterate le griglie; il rapporto poteva anche non essere esclusivo, come sostiene sempre a sostegno della sua tesi Vaciago,  ma comunque c’era. Vaciago, inoltre, a sostegno della sua tesi ha affermato che, dalle risultanze del processo, risulta che non c’erano le ammonizioni mirate, di questo ne parleremo meglio quando affronteremo i capi f) e g) e, per il momento, vi chiedo nei commenti di non soffermarvi su questi capi di imputazione, avremo modo e maniera di affrontarli al meglio. L’unico argomento a sostegno della tesi di Vaciago su cui convengo è che Paparesta non è mai stato rapito, o meglio, lui lo ha sempre negato e che non c’erano avanzi di carriera per gli arbitri sodali e punizioni per gli arbitri non sodali. Va comunque detto che con Paparesta c’è stato un comportamento a dir poco discutibile da parte della Federazione ma anche di questo parleremo meglio in altri articoli. Restano comunque tante condanne per frode sportiva passate in giudicato di cui Moggi si è avvalso della prescrizione rinunciando a difendersi e ogni condanna per frode sportiva equivale sostanzialmente ad una condanna in sede sportiva per l’art. 7, all’epoca 6, del  C.G.S. Per quanto riguarda invece le tappe che, in sintesi, hanno spinto il legislatore federale a sanzionare l’associazione  finalizzata alla commissione di illeciti sono state tracciate dallo sviluppo procedimentale che ha caratterizzato “calciopoli” e cioè:

  1. a) L’Ufficio indagini, nella relazione conclusiva, n. 62 IN N2005-2006 indirizzata alla Procura Federale e depositata in Roma il 19 giugno 2006 a firma il Capo dell’Ufficio (Dott. Saverio Borrelli) già parlò, a pagina 29, di una “ fitta rete di rapporti intercorrenti tra soggetti a vario titolo partecipanti al mondo del calcio che trova origine e spiegazione in un contesto ben più ampio che ruota intorno a temi sportivi ed economici …”
    come i diritti televisivi, le procedure di iscrizione ai campionati e il mercato dei calciatori. “… Non v’è tuttavia dubbio che ciò che emerge come un vero e proprio sistema (caratterizzato da consuetudini di rapporti diversi da quelli istituzionali, incontri riservati, pressioni psicologiche, interventi non consentiti, silenti adeguamenti al “sistema”) finalizzato, da parte di dirigenti di squadre, a favorire (o, come dichiarato da alcuni in sede di audizioni, ad evitare danni) la propria compagine nelle gare disputate; da parte di soggetti “istituzionali”, viceversa, ad interferire direttamente sul regolare andamento di singole gare e, di conseguenza, sull’intero campionato, abdicando a quel ruolo di terzietà che, per definizione, dovrebbe appartenere (rectius, precedere) il comportamento di chiunque eserciti una funzione di garanzia”. “Non si può, infatti, dimenticare, seppure sfiorando il banale, che favorire una squadra, significa, lapalissianamente, sfavorirne un’altra: e quando questa logica perversa del favore e dello sfavore investe un numero rilevante di società è l’intero sistema che ne viene compromesso, perché i risultati non dipendono dai reali valori in campo (o, meglio, solo da questo), ma sono fortemente influenzati da decisioni prese lontano dal rettangolo di gioco”. A pagina 30 della propria Relazione, l’Ufficio Indagini parla dell’instaurazione di un “sistema compromissivo della regolarità dei campionati” che “ … non poteva che passare attraverso il coinvolgimento di soggetti rivestenti ruoli e svolgenti funzioni specifiche (dirigenti federali, altri soggetti tesserati, dipendenti federali, mondo arbitrale) …” nonché all’esterno, “… attraverso il diretto uso distorto e strumentale della stampa (o, quanto meno, di una parte rilevante di essa)”. A pag. 146 della  Relazione, si parla di un sistema a sé stante, definito come “il mondo di Moggi” costituito da “… una rete di rapporti così fitta e così completa, pronta a riempire tutti gli spazi che di volta in volta si aprono …” la cui esistenza “… non è frutto di occasionalità, quanto di costanza e perseveranza protratte nel tempo”. A pag. 183 di detta Relazione, si legge dell’ ”… esistenza di un vero e proprio accordo associativo che ha rafforzato ulteriormente, laddove ce ne fosse stato bisogno, l’impianto accusatorio già emerso in sede penale …. Giraudo e (soprattutto) Moggi, infatti, sono apparsi come elementi fondanti di quell’associazione che tanto ha influito sul regolare andamento del campionato di calcio di serie A 2004/2005 (unico oggetto d’indagine), ma la cui nascita deve certamente …. farsi risalire anni addietro. D’altronde, questa associazione è emersa così numericamente consistente, strutturata e pervasiva, capace di occupare tutti gli spazi relativi al mondo del calcio, che non è nemmeno immaginabile che la stessa possa essersi, come d’incanto, materializzata ed affermata soltanto in un campionato. La struttura associativa ha dimostrato una capacità di incidenza sull’intero sistema calcio, occupando, come già ricordato, tutti gli spazi …. non può essere sottaciuto …. che l’intero sistema di influenza veniva completato da un ampio e distorto uso dei media, mediante il diretto condizionamento di singole trasmissioni televisive nazionali, nelle quali venivano proditoriamente esaltati, attraverso compiacenti interventi di giornalisti, opinionisti e moviolisti, i comportamenti delle persone vicine all’associazione e, contemporaneamente denigrati i comportamenti di chi era ritenuto lontano dall’associazione stessa ….”. A pag. 185 addirittura si legge che ”… Il ruolo dell’organizzazione era così ampiamente conosciuto che i dirigenti di altre squadre coinvolte nell’indagine si sono rivolti ad essa al fine di poter ricevere i favori necessari a salvarsi …”.  A pag. 188 della relazione, l’Ufficio Indagine riferisce di una “vicenda” che per la “natura endemica” da cui è stata caratterizzata “presenta elementi di assoluta novità ed assai maggiore articolazione rispetto a precedenti fattispecie illecite …” di una “concatenazione di illeciti interessi …” che “…. non ha portato a falsare il regolare andamento di singole gare quanto, in considerazione del carattere di strutturale sistematicità con cui si è manifestata, alla compromissione della regolarità, per quanto riguarda le società oggetto della presente indagine, del campionato 2004/05 nel suo complesso”.
    b) Il Procuratore Federale Dott. Stefano Palazzi, nell’atto di deferimento alla Commissione d’Appello Federale di 30 soggetti tra persone fisiche e società, depositato in Roma il 22 giugno 2006, “fa espresso rinvio alla relazione redatta dall’Ufficio Indagini” (pag. 15). Il Procuratore Federale Palazzi, ribadì che”… dirigenti di società sportive, dirigenti della F.I.G.C., i due designatori arbitrali, appartenenti all’Associazione Italiana Arbitri – A.I.A., direttori di gara, assistenti arbitrali, giornalisti, agenti di calciatori e dipendenti federali … avevano stabilito una rete fitta e stabile di contatti” finalizzati a porre in essere attività illecita.  Rimanendo giustamente legato al Codice di Giustizia Sportiva vigente al momento del deferimento, il Procuratore Federale molto opportunamente formulò nelle rispettive imputazioni, in aggiunta ad imputazioni contenenti la contestazione della violazione dell’art. 1 comma 1 C.G.S. cioè dei principi di lealtà, probità e correttezza sportiva, contestazioni di condotte idonee ad integrare l’illecito sportivo di cui all’art. 6 comma 1 del previgente C.G.S. sul presupposto che tale norma “… deve necessariamente riguardare e disciplinare anche le ipotesi in cui le condotte accertate non incidono direttamente sullo svolgimento e sul risultato di una gara, ma sono dirette ad assicurare un vantaggio in classifica …”. Tuttavia, lo stesso Procuratore Federale nella propria Requisitoria “di primo grado”, denunciò l’accertamento di fatti storici gravemente contrari all’etica sportiva riconducibili a quello che poteva essere definito come un ”illecito associativo”  che nel nostro Codice Penale ricadono nel delitto di associazione a delinquere di cui all’articolo 416 c.p. ma che, al momento in cui si celebrò il processo sportivo “calciopoli”, non era previsto come autonomo illecito dal C.G.S.
    c) La C.A.F., infatti, nella sua decisione di primo grado, fece riferimento all’impossibilità, determinata da detta lacuna normativa, di valutare giuridicamente il “quadro associativo” prospettato dalla Procura Federale.
    d) La Corte Federale, a seguito delle impugnazioni presentate dagli imputati condannati, dalle società intervenute, e dallo stesso Procuratore Federale, in primo luogo, sollecitò l’azione del legislatore federale rilevando  “la necessità di intervento di riforma dell’ordinamento federale per adeguarlo a quello statale e a quello comunitario …. colmando la lacuna della mancata previsione di illeciti associativi” e, in secondo luogo, condivise, in assenza di una fattispecie di illecito nel C.G.S. omologo del 416 nel Codice Penale, quanto già aveva affermato la C.A.F., quando la stessa sottolineò che non si era in presenza di un “illecito di sistema” ma di una serie di “reticoli autonomamente attuati dalle varie società incolpate, sia pure all’interno di un’atmosfera inquinata che incombeva sul campionato 2004-2005”. In sostanza, si era di fronte ad una pluralità di condotte poste in essere da una pluralità di soggetti, che in presenza di un accertato collegamento tra loro e di un identico scopo, avrebbero potuto essere inquadrate come un “fatto associativo” e che, invece, poiché non era previsto un simile illecito, andavano valutate e sanzionate autonomamente. Gli organi di giustizia sportiva quindi, ritennero che fatti i integranti autonomamente l’art. 1 C.G.S. (violazione dei doveri di lealtà, correttezza e probità) potessero costituire anche il modo di esplicazione della condotta prevista dal vecchio art. 6 C.G.S. ossia potessero essere atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara e che le due condotte fossero quindi cumulabili e non necessariamente assorbite la prima (art. 1 C.G.S.) nella seconda (art. 6 C.G.S.) senza che ciò costituisse ne un doppio giudicato su di un medesimo fatto, ne una somma algebrica di sanzioni. Va in ultimo rilevato che la Decisione della Corte Federale contiene una riflessione metodologica in tema di valutazione della prova per l’applicazione dell’art. 9 C.G.S. difficilmente condivisibile nel punto in cui la Corte Federale parla di “prove rigorose” per la valutazione dei singoli illeciti e di “prove agili” per la valutazione delle “condotte associative”. Non si può infatti sostenere che, per condannare per un illecito “specifico”, occorrono prove rigorose, mentre per condannare per il “generico” illecito associativo sono sufficienti anche prove più “agili” ma al più  potranno esserci “risultati probatori” ottenibili a seguito di procedimenti di assunzione più o meno rapidi, più o meno complessi e quindi anche più o meno “agili” ma il giudizio di “agilità” non potrà certo riferirsi al risultato probatorio da valutare anzi, essendo l’illecito associativo un illecito che per essere provato bisogna fare ricorso alla prova indiziaria esattamente come avviene per il 416 C.p., la prova di cui all’art. 9 C.G.S. rientrerà sicuramente fra quelle meno agili ma di questo ne avremo ampia possibilità di parlane nei miei prossimi articoli. Tornando, comunque all’esigenza normativa di cui si è trattato, alla luce del percorso tracciato da “calciopoli”, il legislatore federale non poteva non intervenire colmando la lamentata lacuna con la formulazione della fattispecie di cui all’’attuale art. 9 C.G.S. strutturandolo in modo assolutamente analogo a quello con cui è  strutturato, nell’art. 416 del Codice Penale, l’associazione per delinquere i cui parleremo nei prossimi articoli. Possiamo quindi concludere questo articolo dicendo che:
    1) La Juve ha risposto per responsabilità diretta degli illeciti commessi da Moggi perché quando un dirigente di una società calcistica commette degli illeciti in favore della società quest’ultima ne risponde sempre per responsabilità diretta con sanzioni più gravi e non per responsabilità oggettiva di cui ne risponde la società quando a commettere gli illeciti è un tesserato qualsiasi della società come è successo all’Inter con Oriali nel caso “Passaportopoli”.  Questa distinzione è molto importante soprattutto alla luce della maggiore severità delle pene che possono colpire una società punita per responsabilità diretta rispetto alle sanzioni a cui soggiace una società per responsabilità oggettiva.
    2) Gli illeciti che ha commesso Moggi sono state tante violazioni di cui all’art. 1 C.G.S. (ora 1 bis C.G.S.) tutti diretti alla violazione dell’art. 6, ecco perché Moggi e conseguenzialmente la Juve, è stato condannato in sede sportiva per violazione degli art. 1 e 6 del C.G.S.
    3) Non è vero che Moggi sia stato condannato per “illecito strutturale”, non è vero che non c’erano illeciti a carico di Moggi e non è vero che Moggi sia stato condannato per illecito associativo, fattispecie allora non presente nel C.G.S.
    4) L’operato di Moggi ha invece contribuito all’evoluzione giuridica del C.G.S. con l’introduzione dell’art. 9 ossia dell’illecito associativo e quindi lo dobbiamo anche ringraziare.
    5) L’art. 9 del C.G.S. introdotto grazie a Calciopoli è strutturato in maniera analoga al 416 del Codice penale e parlare di uno o parlare dell’altro è sostanzialmente la stessa cosa.
    6) affronteremo entrambi gli articoli nei prossimi articoli.Penso di aver messo come al solito tanta carne al fuoco, a voi i commenti, buona giornata.