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Allora, come sempre, salve a tutti. Dato che il ricorso alla Cassazione su “Calciopoli” è alle porte e dato che in tale ricorso si tratterà quasi esclusivamente del capo di imputazione di cui alla lettera a) ossia l’associazione a delinquere, i miei follower mi hanno esplicitamente richiesto di trattare del reato di cui all’art. 416 C.p. Ancora prima però di affrontare l’associazione a delinquere mi preme oggi elogiare l’operato di Luciano Moggi perché proprio grazie a lui che la giurisprudenza sia sportiva che ordinaria si è notevolmente evoluta nell’ultimo periodo. A riguardo ci terrei a ricordare cosa ha deciso il TAR riguardo alla mancanza di giurisdizione della giustizia sportiva che Moggi lamentava. Per capire bene il tutto va innanzitutto premesso che il secondo periodo del 6° comma dell’art. 36 delle N.O.I.F.(Norme Organizzative Interne della F.I.G.C.), stabilisce che coloro che hanno subito la sanzione della squalifica o della inibizione per durata non inferiore ai trenta giorni, non possono essere tesserati con diversa classificazione durante l’esecuzione della sanzione. Il 7° comma stabilisce, inoltre, che chiunque si sia sottratto volontariamente, con dimissioni o mancato rinnovo del tesseramento, ad un procedimento instaurato o ad una sanzione irrogata nei suoi confronti dagli organi di giustizia sportiva, non può essere nuovamente tesserato. Sulla base di questa normativa, parte della giurisprudenza federale aveva stabilito che nel momento in cui un soggetto, appartenente a qualunque titolo alla Federazione, si dimetteva dalla propria carica perdendo la qualifica di tesserato, non poteva più essere giudicato dagli organi della giustizia sportiva i quali non hanno giurisdizione sui non tesserati. In tale direzione si mosse anche Luciano Moggi che, in “Calciopoli”, ancora prima che fosse avviato il procedimento disciplinare di fronte agli organi di giustizia sportiva, in data 16 maggio 2006, aveva presentato le dimissioni dalla carica di direttore generale della F.C. Juventus, richiedendo ed ottenendo, contestualmente, la cancellazione dall’Elenco speciale dei Direttori sportivi. Gli organi della Giustizia Federale abbracciarono invece l’altra parte della giurisprudenza federale che la vedeva ovviamente in maniera diversa e inflissero a Moggi, sebbene lui non fosse più tesserato e non facesse quindi più parte dell’ordinamento sportivo, oltre all’inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., l’ammenda di € 50.000,00 per la violazione degli art. 1 e 6 dell’allora vigente C.G.S. Esauriti tutti i gradi di Giustizia Sportiva allora vigenti, ossia sia quelli interni alla Federazione (Corte Federale e Corte d’Appello Federale) che quello del C.O.N.I. (Camera di Conciliazione ed Arbitrato dello Sport) con ricorso n. 7711/06, Luciano Moggi, come prescrive la legge 17 ottobre 2003 n. 280 che prevede la possibilità di poter ricorrere alla giustizia ordinaria solo dopo aver esperito tutti i gradi di Giustizia Sportiva quando il provvedimento emesso da una federazione va a ledere un interesse legittimo (in tal caso si può ricorrere al T.A.R.) o verte su una controversia di carattere patrimoniale (in questo caso si può ricorrere al giudice ordinario), adì al T.A.R. di Roma avverso le sentenze degli organi di Giustizia Sportiva adducendo, fra i vari motivi di gravame, la loro mancanza di giurisdizione appunto perché lui si era presentato davanti agli Organi di Giustizia Sportiva quando oramai si era già dimesso dalla carica di direttore generale della F.C. Juventus. A riguardo il T.A.R. di Roma, con sentenza 19 marzo 2008, n.2472 stabilì riguardo all’art. 36, 7° comma delle N.O.I.F. che “[…]La norma in questione, […], dispone espressamente soltanto che il tesserato dimessosi (in pendenza di procedimento disciplinare) non può successivamente chiedere una nuova iscrizione. Ciò per l’evidente ragione di evitare che le dimissioni siano rassegnate al fine precipuo di interrompere il procedimento in corso, salvo poi chiedere la riammissione nell’ordinamento sportivo. Nulla prevede, invece, la norma in ordine all’assoggettabilità a procedimento disciplinare del tesserato dimessosi. Il Collegio ritiene che dalla statuizione espressa del settimo comma non possa trarsi la conseguenza affermata dal ricorrente e che, dunque, nulla impedisca di sottoporre a procedimento disciplinare anche un tesserato già dimessosi. Al fine di giustificare le conclusioni alle quali il Collegio è pervenuto soccorrono – pur con gli opportuni distinguo connessi alla differente natura del rapporto – i principi pacificamente affermati nell’ambito dell’impiego pubblico, nel quale si ammette in via generale l’esperibilità del procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal servizio, nelle ipotesi in cui sussista in concreto un interesse giuridicamente qualificato, dell’impiegato o della stessa Amministrazione, ad una valutazione sotto il profilo disciplinare del comportamento tenuto in servizio dal dipendente (Cons. Stato, II Sez., 16 maggio 2001, n. 422; T.A.R. Veneto, II Sez., 22 agosto 2002 n. 4514). Tali principi possono essere ragionevolmente trasfusi nel caso in esame nel quale l’interesse dell’ordinamento sportivo a sanzionare un tesserato – pur a fronte della sicurezza che lo stesso non potrà in alcun caso, ex art. 36, settimo comma, N.O.I.F., chiedere una nuova iscrizione – deriva dalla necessità non solo di moralizzare il mondo sportivo accertando sempre e comunque il comportamento asseritamente amorale di un ex iscritto ma anche dal fatto che tra le sanzioni comminabili figura anche quella pecuniaria […]”. Grande è stato quindi l’apporto di Moggi con il ricorso al TAR alla giurisprudenza federale perché grazie al suo ricorso al TAR si è stabilito una volta per tutte che, un soggetto, nel momento in cui, per qualsiasi ragione, esce dall’ordinamento sportivo, rimane comunque vincolato alla Giustizia Sportiva per ciò che ha commesso nel periodo in cui era tesserato. Grazie a Calciopoli e all’operato di Luciano Moggi si è registrata anche una notevole evoluzione giuridica nel C.G.S. con la modifica dello stesso e l’introduzione, all’art. 9, dell’illecito associativo. L’art. 9 del nuovo Codice di giustizia sportiva (C.G.S.), entrato in vigore il 1° luglio del 2007 e poi riformato con decreto del commissario ad acta del 30 luglio 2014 ed approvato con deliberazione del presidente del C.O.N.I. n. 112/52 del 31/7/2014 e entrato in vigore nell’attuale stagione sportiva, così recita:
Art. 9
Associazione finalizzata alla commissione di illeciti
- Quando tre o più soggetti tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali si associano allo
scopo di commettere illeciti si applicano, per ciò solo, le sanzioni di cui alle lettere f) e h) dell’art.
19, comma 1.
- La sanzione è aggravata nei confronti di coloro che promuovono, costituiscono o gestiscono
l’associazione, nonché per i dirigenti federali e gli associati all’AIA.
A riguardo bisogna comunque dire che le lettere f) e h) del 1° comma dell’art. 19 C.G.S. prevedono:
- f) squalifica a tempo determinato, nel rispetto del principio di afflittività della sanzione;
- h) inibizione temporanea a svolgere ogni attività in seno alla FIGC, con eventuale richiesta di
estensione in ambito U.E.F.A. e F.I.F.A., a ricoprire cariche federali e a rappresentare le società
nell’ambito federale, indipendentemente dall’eventuale rapporto di lavoro.
Grazie a Moggi è sorta quindi l’esigenza di punire, nel processo sportivo “calciopoli”, l’associazione finalizzata alla commissione di illeciti. Il Procuratore Federale infatti, nel corso della propria requisitoria pronunciata di fronte alla C.A.F., premise di aver avvertito l’esigenza, per quanto relazionatogli dall’Ufficio Indagine con relazione intitolata “Oggetto dell’indagine espletata –Accertamenti conseguenti agli atti trasmessi dalla Procura della Repubblica di Torino e Napoli – Stagione Calcistica 2004/2005”, depositata in Roma il 19/6/2006 a firma del Capo dell’Ufficio Indagine Dott. Saverio Borrelli, di contestare ad alcuni incolpati il fatto di essersi associati allo scopo di compiere atti contrari all’ordinamento sportivo ma di non aver potuto iniziare l’azione disciplinare per tale fattispecie, in quanto non prevista come illecito dal Codice di Giustizia Sportiva all’epoca vigente. Tale osservazione, fu ripresa sia nella decisione del giudice di primo grado (che in questo caso fu la C.A.F.), sia in quella del giudice di secondo grado (che in questo caso fu la Corte Federale). In particolare, nella decisione relativa al Comm. Uff. n. 1/C riunione del 29 giugno /2-4-5-6-7 luglio 2006 emessa dalla C.A.F. all’esito della Camera di Consiglio in Roma dal 7 al 14 luglio 2006 pubblicata il 14 luglio 2006, a pag 91 testualmente si legge “… Le condotte agli stessi attribuite (Mazzini, Pairetto, Lanese e De Santis N.d.R.) non possono essere valutate in questa sede disciplinare nella prospettiva di un quadro associativo, come del resto ha tenuto a sottolineare la stessa Procura federale …”. A pag. 58 della decisione di secondo grado della Corte Federale del medesimo procedimento, Comm. Uff. n. 2/CF riunione tenutasi dal 22 luglio al 25 luglio 2006 emessa dalla Corte Federale all’esito della Camera di Consiglio in Roma del 24 e 25 luglio 2006 pubblicata il 4 agosto 2006, testualmente si legge “ … Al tempo stesso, la Corte, nel doveroso adempimento della propria funzione nomofilattica”, ossia di andare a vedere se le norme siano o no state applicate correttamente,”non può fare a meno di segnalare la necessità di radicali interventi di riforma dell’ordinamento federale in vista del necessario adeguamento a quello statuale e comunitario in una serie di delicate materie, che sono andate emergendo nel presente procedimento (quali, a titolo di esempio, la mancata previsione di illeciti di natura associativa e di prescrizioni cogenti relativamente alla costituzione ed al funzionamento degli organi collegiali di giustizia sportiva) e rispetto alle quali oggi il diritto sportivo non appare sempre pronto, per difetto di puntuali disposizioni, ad intervenire con la dovuta effettività”. A pagina 59 venne poi ribadito, nella decisione della Corte Federale, il medesimo concetto: “Venendo ora all’esame dei capi di incolpazione, va subito affrontata una questione di metodo, consistente nella individuazione dello scenario nel quale, tanto dal punto di vista soggettivo, quanto da quello oggettivo, va inquadrato il presente procedimento. Lucidamente la CAF rileva che esso non riguarda un “sistema” ma una serie di reticoli autonomamente attuati dalle varie società incolpate, sia pur all’interno di un’atmosfera inquinata che incombeva sul campionato di serie A 2004 – 2005 (pagg. 74 e 75). Quest’impostazione, perfettamente rispondente all’articolata e coerente struttura dell’atto di accusa, appare un necessario corollario della mancata previsione nell’ordinamento federale di una fattispecie di illecito associativo, modellata sull’esempio del diritto comune: l’altrettanto logica conseguenza di questa lacuna ordinamentale è che, anche in questo grado, il metodo di analisi della Corte debba procedere con riguardo alle singole posizioni, quali vengono in rilievo dalle constatazioni mosse a ciascuna società: è consequenziale che tutte le posizioni debbano essere affrontate e giudicate applicando i rigorosi standard probatori propri di ciascuna contestazione, rivelandosi inapplicabili quelli, più agili e collaudati nell’ordinamento di diritto comune, dell’illecito associativo. Tuttavia, quest’esame per posizioni non impedisce che l’operato di specifici incolpati acquisti efficienza in più vicende, apparentemente slegate, ma tra loro, avvinte proprio dalla partecipazione dei medesimi soggetti alle vicende stesse (il punto si chiarirà tenendo conto delle fondamentali implicazioni della posizione di Moggi, anche al riguardo alla gara Lecce – Parma, in occasione della quale fu interlocutore telefonico di Diego Della Valle)”. Altro passaggio rilevante sull’argomento lo si trova a pagina 61 della Decisione della Corte Federale ove si legge: “Ulteriormente, la decisione impugnata ha osservato che, nella struttura dell’atto di accusa, sono individuabili specifiche condotte di per sé violative dei generali canoni posti dall’art. 1 citato, il cui insieme è stato giudicato idoneo a realizzare il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale a vantaggio della Juventus, così risolvendosi in un’attività diretta a portare alla società un vantaggio in classifica. Ed i primi giudici hanno espressamente aderito, in linea di principio, a questa impostazione metodologica, diretta a surrogare la già segnalata carenza di punibilità in ambito federale dell’associazione di più persone al fine di commettere un indeterminato numero di illeciti. La Corte è dell’avviso che debba, logicamente, far precedere alla valutazione del materiale probatorio a suffragio della impostazione prima illustrata il giudizio sull’ammissibilità, espressamente contestata nelle impugnazioni degli appellanti, condannati in primo grado, della doppia rilevanza disciplinare di una medesima condotta, considerata una prima volta atomisticamente ed in sé, nella prospettiva che essa esprima il disvalore deontologico di cui all’art. 1 CGS e riguardata cumulativamente ad altre condotte, nell’ottica finalistica che essa abbia realizzato l’attività rivolta all’alterazione di gare, disciplinata, come illecito sportivo, dall’art. 6 dello stesso codice. La Corte ritiene che la decisione impugnata non meriti, sul punto, alcuna censura. Ed invero, occorre prendere le mosse della struttura formale delle due violazioni regolamentari di cui si tratta, e cioè l’art. 1 e l’art. 6 C.G.S. La prima disposizione sancisce un generico obbligo di “lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto, comunque, riferibile all’attività sportiva”, così lasciando intendere che l’infrazione al criterio generale di condotta in ambito sportivo può assumere configurazioni libere, cioè non predeterminabili in ragione della loro forma e delle loro manifestazioni, ma qualificabili in funzione della lesione del bene giuridico protetto dalla norma. Ciò non toglie, tuttavia, che le condotte antigiuridiche, ai sensi dell’art. 1, possano in concreto acquisire rilevanza casualmente efficiente nella prospettiva della commissione di altre violazioni, costituendone mezzi idonei per la realizzazione, altrimenti non verificabile o verificabile solo a condizioni diverse. Ora, poiché l’art. 6, comma 1, prevede come illecito sportivo “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad attuare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”, è evidente che, anche nella conformazione della norma in esame e coerentemente con la stessa impostazione del sistema normativo dell’organizzazione federale, la nozione di mezzo quale strumento per il compimento degli atti, in essa descritti, non soggiace ad alcuna predeterminazione di tipicità e ricava la sua riconducibilità, in concreto, all’alveo della disposizione a seguito della sua accertata capacità di consentire il compimento dell’atto punibile. Ecco, allora, che nella ricostruzione dell’illecito sportivo occorre guardare alla natura dell’atto – tema che sarà affrontato in seguito – e, nel contesto di questa indagine, è necessario giudicare della relazione di efficacia causale del mezzo in concreto prescelto rispetto al compimento dell’atto. Logicamente, nessun diaframma è ragionevole interporre ad una doppia valutazione di rilevanza di una medesima condotta, sussumendola nei binari del generale disvalore deontologico e, in ottica diversa, concependola come ineliminabile tassello strumentale nella realizzazione dell’illecito ex art. 6, senza che ciò si traduca – a differenza di quanto sostenuto dalle difese nel corso della discussione orale – in una (inammissibile) somma algebrica di singole condotte qualificate come antidoverose ex art. 1 e senza che l’operazione valutativa, di cui si dice, determini l’assorbimento di tali condotte nel paradigma dell’illecito sportivo con (insussistente) perdita della loro originaria natura e rilevanza (ed in questo senso va rettificata la motivazione di primo grado, senza effetti quoad poenam, in difetto di appello). Deve, infatti, escludersi, alla stregua della struttura delle due norme e dei differenti beni giuridici protetti, che vi sia un rapporto di necessaria inerenza delle condotte genericamente antidoverose alla figura dell’illecito o che esse se ne possano considerare elemento costitutivo: si tratta di un occasionale, di volta in volta da verificare, apporto causale alla realizzazione dell’illecito sportivo fornito da una condotta, comunque, espressiva di una trasgressione all’ordinamento sportivo. Il giudizio che compete, quindi, a questa Corte, una volta risolta, in senso confermativo della decisione impugnata, la questione di principio, è quello circa la sufficienza del materiale probatorio per affermare, da un canto, la sussistenza delle condotte contestate ed a stabilirne, d’altro canto, l’idoneità a convertirsi in mezzi utili al compimento degli atti previsti dall’art. 6, comma 1, C.G.S. Anche a questo proposito la Corte non ha dubbi nel dichiarare che i primi giudici, contrariamente a quanto sostenuto in tutti gli appelli degli interessati, hanno fatto ineccepibile governo del proprio compito relativamente ad entrambi i punti, con la conseguenza che tutta la parte della decisione concernente la posizione della Juventus va confermata in termini di affermazione di responsabilità, con le modifiche peggiorative, conseguenti all’impugnazione della Procura Federale, delle pene irrogate a taluni incolpati e migliorative, in relazione ai rispettivi appelli, per altri incolpati, nei termini di seguito esposti. Opportunamente la sentenza impugnata pone una doppia premessa al proprio giudizio: essa va condivisa e fatta propria da questa Corte, con le precisazioni che seguono quanto alla prima …..”.
A riguardo vanno quindi fatte alcune osservazioni, innanzitutto bisogna prendere il 1° comma dell’art. 6 C.G.S. esattamente come era formulato all’epoca del processo di “Calciopoli” e come è adesso formulato all’art. 7 comma 1 dell’attuale C.G.S. Esso così disponeva e tuttora dispone all’art. 7 comma 1:” Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica, costituisce illecito sportivo.” Come possiamo ben notare l’illecito era ed è tuttora formulato con la forma della consumazione anticipata che va a punire tutti gli atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma ossia lo svolgimento (leale) della gara. Possiamo quindi dedurre che tutte le violazioni di cui all’epoca dei fatti all’art. 1 CGS e ora 1 bis ossia: il dovere di comportarsi con correttezza, probità e lealtà imputate a Moggi di cui la Juve ne ha risposto per responsabilità diretta, ossia tutti quei comportamenti tenuti da Moggi come il contattare direttamente i designatori e gli arbitri siano stati considerati oltre che violazioni dell’art. 1 C.G.S. anche atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 6, 1° comma dell’allora vigente C.G.S., per cui Moggi e conseguentemente la Juve sono stati incolpati della violazione degli articoli 1 e 6 del C.G.S. A riguardo di assurdità ne ho sentite tante, la prima, forse la più grave è che alla Juve non sono stati imputati illeciti. Falsissimo, la Juve in quanto società risponde sempre per responsabilità diretta degli illeciti commessi a suo vantaggio dai suoi dirigenti, il tutto era previsto dall’art. 2 comma 4 dell’allora vigente C.G.S. e il tutto è ribadito nell’attuale C.G.S. all’art. 4 comma 1. Possiamo inoltre notare che l’illecito sportivo di cui all’art. 6 comma 1 dell’allora vigente C.G.S. ora art. 7, comma 1, è molto simile all’art. 1 della legge 401/1989 sulla frode sportiva. Infatti entrambe le norme sono formulate con lo schema della consumazione anticipata ed entrambe vanno a punire gli atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma ossia il corretto e leale svolgimento della gara. Nel processo sportivo i rapporti che ha avuto Moggi con il settore arbitrale oltre che essere stati considerati violazioni dell’allora art. 1 CGS ora 1 bis C.G.S. sono stati considerati atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 6 C.G.S., nel processo penale invece, i rapporti che Moggi aveva con il mondo arbitrale sia con i designatori che con gli arbitri tramite le telefonate che ci sono state mediante le schede svizzere, sono stati alla stessa maniera considerati atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice sulla frode sportiva che è sempre lo stesso, ossia il corretto e leale svolgimento della gara. Possiamo quindi trovare una certa assonanza fra l’art. 6 ora 7 C.G.S. e il reato di frode sportiva per cui possiamo tranquillamente dire che ogni condanna per frode sportiva anche se oramai prescritta equivale un art. 7 dell’attuale C.G.S. quindi, di conseguenza, se volessimo allo stato attuale fare la revisione del processo sportivo, la situazione di Moggi e, conseguenzialmente della Juve, sarebbe peggiore di come si delineò quando ci fu il processo sportivo nel 2006. C’è stato un certo Guido Vaciago, giornalista di Tuttosport, che ha affermato che sulla base della sentenza Casoria si potrebbe già riaprire il processo sportivo per ottenerne la revisione. Il tutto è assolutamente sbagliato perché: il sorteggio sarà stato anche non truccato, come dice Vaciago a supporto della sua tesi ma, sulla base delle sentenze, erano comunque truccate o meglio alterate le griglie; il rapporto poteva anche non essere esclusivo, come sostiene sempre a sostegno della sua tesi Vaciago, ma comunque c’era. Vaciago, inoltre, a sostegno della sua tesi ha affermato che, dalle risultanze del processo, risulta che non c’erano le ammonizioni mirate, di questo ne parleremo meglio quando affronteremo i capi f) e g) e, per il momento, vi chiedo nei commenti di non soffermarvi su questi capi di imputazione, avremo modo e maniera di affrontarli al meglio. L’unico argomento a sostegno della tesi di Vaciago su cui convengo è che Paparesta non è mai stato rapito, o meglio, lui lo ha sempre negato e che non c’erano avanzi di carriera per gli arbitri sodali e punizioni per gli arbitri non sodali. Va comunque detto che con Paparesta c’è stato un comportamento a dir poco discutibile da parte della Federazione ma anche di questo parleremo meglio in altri articoli. Restano comunque tante condanne per frode sportiva passate in giudicato di cui Moggi si è avvalso della prescrizione rinunciando a difendersi e ogni condanna per frode sportiva equivale sostanzialmente ad una condanna in sede sportiva per l’art. 7, all’epoca 6, del C.G.S. Per quanto riguarda invece le tappe che, in sintesi, hanno spinto il legislatore federale a sanzionare l’associazione finalizzata alla commissione di illeciti sono state tracciate dallo sviluppo procedimentale che ha caratterizzato “calciopoli” e cioè:
- a) L’Ufficio indagini, nella relazione conclusiva, n. 62 IN N2005-2006 indirizzata alla Procura Federale e depositata in Roma il 19 giugno 2006 a firma il Capo dell’Ufficio (Dott. Saverio Borrelli) già parlò, a pagina 29, di una “ fitta rete di rapporti intercorrenti tra soggetti a vario titolo partecipanti al mondo del calcio che trova origine e spiegazione in un contesto ben più ampio che ruota intorno a temi sportivi ed economici …”
come i diritti televisivi, le procedure di iscrizione ai campionati e il mercato dei calciatori. “… Non v’è tuttavia dubbio che ciò che emerge come un vero e proprio sistema (caratterizzato da consuetudini di rapporti diversi da quelli istituzionali, incontri riservati, pressioni psicologiche, interventi non consentiti, silenti adeguamenti al “sistema”) finalizzato, da parte di dirigenti di squadre, a favorire (o, come dichiarato da alcuni in sede di audizioni, ad evitare danni) la propria compagine nelle gare disputate; da parte di soggetti “istituzionali”, viceversa, ad interferire direttamente sul regolare andamento di singole gare e, di conseguenza, sull’intero campionato, abdicando a quel ruolo di terzietà che, per definizione, dovrebbe appartenere (rectius, precedere) il comportamento di chiunque eserciti una funzione di garanzia”. “Non si può, infatti, dimenticare, seppure sfiorando il banale, che favorire una squadra, significa, lapalissianamente, sfavorirne un’altra: e quando questa logica perversa del favore e dello sfavore investe un numero rilevante di società è l’intero sistema che ne viene compromesso, perché i risultati non dipendono dai reali valori in campo (o, meglio, solo da questo), ma sono fortemente influenzati da decisioni prese lontano dal rettangolo di gioco”. A pagina 30 della propria Relazione, l’Ufficio Indagini parla dell’instaurazione di un “sistema compromissivo della regolarità dei campionati” che “ … non poteva che passare attraverso il coinvolgimento di soggetti rivestenti ruoli e svolgenti funzioni specifiche (dirigenti federali, altri soggetti tesserati, dipendenti federali, mondo arbitrale) …” nonché all’esterno, “… attraverso il diretto uso distorto e strumentale della stampa (o, quanto meno, di una parte rilevante di essa)”. A pag. 146 della Relazione, si parla di un sistema a sé stante, definito come “il mondo di Moggi” costituito da “… una rete di rapporti così fitta e così completa, pronta a riempire tutti gli spazi che di volta in volta si aprono …” la cui esistenza “… non è frutto di occasionalità, quanto di costanza e perseveranza protratte nel tempo”. A pag. 183 di detta Relazione, si legge dell’ ”… esistenza di un vero e proprio accordo associativo che ha rafforzato ulteriormente, laddove ce ne fosse stato bisogno, l’impianto accusatorio già emerso in sede penale …. Giraudo e (soprattutto) Moggi, infatti, sono apparsi come elementi fondanti di quell’associazione che tanto ha influito sul regolare andamento del campionato di calcio di serie A 2004/2005 (unico oggetto d’indagine), ma la cui nascita deve certamente …. farsi risalire anni addietro. D’altronde, questa associazione è emersa così numericamente consistente, strutturata e pervasiva, capace di occupare tutti gli spazi relativi al mondo del calcio, che non è nemmeno immaginabile che la stessa possa essersi, come d’incanto, materializzata ed affermata soltanto in un campionato. La struttura associativa ha dimostrato una capacità di incidenza sull’intero sistema calcio, occupando, come già ricordato, tutti gli spazi …. non può essere sottaciuto …. che l’intero sistema di influenza veniva completato da un ampio e distorto uso dei media, mediante il diretto condizionamento di singole trasmissioni televisive nazionali, nelle quali venivano proditoriamente esaltati, attraverso compiacenti interventi di giornalisti, opinionisti e moviolisti, i comportamenti delle persone vicine all’associazione e, contemporaneamente denigrati i comportamenti di chi era ritenuto lontano dall’associazione stessa ….”. A pag. 185 addirittura si legge che ”… Il ruolo dell’organizzazione era così ampiamente conosciuto che i dirigenti di altre squadre coinvolte nell’indagine si sono rivolti ad essa al fine di poter ricevere i favori necessari a salvarsi …”. A pag. 188 della relazione, l’Ufficio Indagine riferisce di una “vicenda” che per la “natura endemica” da cui è stata caratterizzata “presenta elementi di assoluta novità ed assai maggiore articolazione rispetto a precedenti fattispecie illecite …” di una “concatenazione di illeciti interessi …” che “…. non ha portato a falsare il regolare andamento di singole gare quanto, in considerazione del carattere di strutturale sistematicità con cui si è manifestata, alla compromissione della regolarità, per quanto riguarda le società oggetto della presente indagine, del campionato 2004/05 nel suo complesso”.
b) Il Procuratore Federale Dott. Stefano Palazzi, nell’atto di deferimento alla Commissione d’Appello Federale di 30 soggetti tra persone fisiche e società, depositato in Roma il 22 giugno 2006, “fa espresso rinvio alla relazione redatta dall’Ufficio Indagini” (pag. 15). Il Procuratore Federale Palazzi, ribadì che”… dirigenti di società sportive, dirigenti della F.I.G.C., i due designatori arbitrali, appartenenti all’Associazione Italiana Arbitri – A.I.A., direttori di gara, assistenti arbitrali, giornalisti, agenti di calciatori e dipendenti federali … avevano stabilito una rete fitta e stabile di contatti” finalizzati a porre in essere attività illecita. Rimanendo giustamente legato al Codice di Giustizia Sportiva vigente al momento del deferimento, il Procuratore Federale molto opportunamente formulò nelle rispettive imputazioni, in aggiunta ad imputazioni contenenti la contestazione della violazione dell’art. 1 comma 1 C.G.S. cioè dei principi di lealtà, probità e correttezza sportiva, contestazioni di condotte idonee ad integrare l’illecito sportivo di cui all’art. 6 comma 1 del previgente C.G.S. sul presupposto che tale norma “… deve necessariamente riguardare e disciplinare anche le ipotesi in cui le condotte accertate non incidono direttamente sullo svolgimento e sul risultato di una gara, ma sono dirette ad assicurare un vantaggio in classifica …”. Tuttavia, lo stesso Procuratore Federale nella propria Requisitoria “di primo grado”, denunciò l’accertamento di fatti storici gravemente contrari all’etica sportiva riconducibili a quello che poteva essere definito come un ”illecito associativo” che nel nostro Codice Penale ricadono nel delitto di associazione a delinquere di cui all’articolo 416 c.p. ma che, al momento in cui si celebrò il processo sportivo “calciopoli”, non era previsto come autonomo illecito dal C.G.S.
c) La C.A.F., infatti, nella sua decisione di primo grado, fece riferimento all’impossibilità, determinata da detta lacuna normativa, di valutare giuridicamente il “quadro associativo” prospettato dalla Procura Federale.
d) La Corte Federale, a seguito delle impugnazioni presentate dagli imputati condannati, dalle società intervenute, e dallo stesso Procuratore Federale, in primo luogo, sollecitò l’azione del legislatore federale rilevando “la necessità di intervento di riforma dell’ordinamento federale per adeguarlo a quello statale e a quello comunitario …. colmando la lacuna della mancata previsione di illeciti associativi” e, in secondo luogo, condivise, in assenza di una fattispecie di illecito nel C.G.S. omologo del 416 nel Codice Penale, quanto già aveva affermato la C.A.F., quando la stessa sottolineò che non si era in presenza di un “illecito di sistema” ma di una serie di “reticoli autonomamente attuati dalle varie società incolpate, sia pure all’interno di un’atmosfera inquinata che incombeva sul campionato 2004-2005”. In sostanza, si era di fronte ad una pluralità di condotte poste in essere da una pluralità di soggetti, che in presenza di un accertato collegamento tra loro e di un identico scopo, avrebbero potuto essere inquadrate come un “fatto associativo” e che, invece, poiché non era previsto un simile illecito, andavano valutate e sanzionate autonomamente. Gli organi di giustizia sportiva quindi, ritennero che fatti i integranti autonomamente l’art. 1 C.G.S. (violazione dei doveri di lealtà, correttezza e probità) potessero costituire anche il modo di esplicazione della condotta prevista dal vecchio art. 6 C.G.S. ossia potessero essere atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara e che le due condotte fossero quindi cumulabili e non necessariamente assorbite la prima (art. 1 C.G.S.) nella seconda (art. 6 C.G.S.) senza che ciò costituisse ne un doppio giudicato su di un medesimo fatto, ne una somma algebrica di sanzioni. Va in ultimo rilevato che la Decisione della Corte Federale contiene una riflessione metodologica in tema di valutazione della prova per l’applicazione dell’art. 9 C.G.S. difficilmente condivisibile nel punto in cui la Corte Federale parla di “prove rigorose” per la valutazione dei singoli illeciti e di “prove agili” per la valutazione delle “condotte associative”. Non si può infatti sostenere che, per condannare per un illecito “specifico”, occorrono prove rigorose, mentre per condannare per il “generico” illecito associativo sono sufficienti anche prove più “agili” ma al più potranno esserci “risultati probatori” ottenibili a seguito di procedimenti di assunzione più o meno rapidi, più o meno complessi e quindi anche più o meno “agili” ma il giudizio di “agilità” non potrà certo riferirsi al risultato probatorio da valutare anzi, essendo l’illecito associativo un illecito che per essere provato bisogna fare ricorso alla prova indiziaria esattamente come avviene per il 416 C.p., la prova di cui all’art. 9 C.G.S. rientrerà sicuramente fra quelle meno agili ma di questo ne avremo ampia possibilità di parlane nei miei prossimi articoli. Tornando, comunque all’esigenza normativa di cui si è trattato, alla luce del percorso tracciato da “calciopoli”, il legislatore federale non poteva non intervenire colmando la lamentata lacuna con la formulazione della fattispecie di cui all’’attuale art. 9 C.G.S. strutturandolo in modo assolutamente analogo a quello con cui è strutturato, nell’art. 416 del Codice Penale, l’associazione per delinquere i cui parleremo nei prossimi articoli. Possiamo quindi concludere questo articolo dicendo che:
1) La Juve ha risposto per responsabilità diretta degli illeciti commessi da Moggi perché quando un dirigente di una società calcistica commette degli illeciti in favore della società quest’ultima ne risponde sempre per responsabilità diretta con sanzioni più gravi e non per responsabilità oggettiva di cui ne risponde la società quando a commettere gli illeciti è un tesserato qualsiasi della società come è successo all’Inter con Oriali nel caso “Passaportopoli”. Questa distinzione è molto importante soprattutto alla luce della maggiore severità delle pene che possono colpire una società punita per responsabilità diretta rispetto alle sanzioni a cui soggiace una società per responsabilità oggettiva.
2) Gli illeciti che ha commesso Moggi sono state tante violazioni di cui all’art. 1 C.G.S. (ora 1 bis C.G.S.) tutti diretti alla violazione dell’art. 6, ecco perché Moggi e conseguenzialmente la Juve, è stato condannato in sede sportiva per violazione degli art. 1 e 6 del C.G.S.
3) Non è vero che Moggi sia stato condannato per “illecito strutturale”, non è vero che non c’erano illeciti a carico di Moggi e non è vero che Moggi sia stato condannato per illecito associativo, fattispecie allora non presente nel C.G.S.
4) L’operato di Moggi ha invece contribuito all’evoluzione giuridica del C.G.S. con l’introduzione dell’art. 9 ossia dell’illecito associativo e quindi lo dobbiamo anche ringraziare.
5) L’art. 9 del C.G.S. introdotto grazie a Calciopoli è strutturato in maniera analoga al 416 del Codice penale e parlare di uno o parlare dell’altro è sostanzialmente la stessa cosa.
6) affronteremo entrambi gli articoli nei prossimi articoli.Penso di aver messo come al solito tanta carne al fuoco, a voi i commenti, buona giornata.
Felix Arpino ha detto:
“Possiamo quindi dedurre che tutte le violazioni di cui all’epoca dei fatti all’art. 1 CGS e ora 1 bis ossia: il dovere di comportarsi con correttezza, probità e lealtà imputate a Moggi di cui la Juve ne ha risposto per responsabilità diretta, ossia tutti quei comportamenti tenuti da Moggi come il contattare direttamente i designatori e gli arbitri siano stati considerati oltre che violazioni dell’art. 1 C.G.S. anche atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma di cui all’art. 6, 1° comma dell’allora vigente C.G.S., per cui Moggi e conseguentemente la Juve sono stati incolpati della violazione degli articoli 1 e 6 del C.G.S”.
Non credo sia così, Rug. Nemmeno l’aver contattato direttamente gli arbitri ha costituito prova di illecito sportivo. Infatti, a pag. 5 del procedimento sulle SIM svizzere del 2008 (http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/39.$plit/C_2_ContenutoGenerico_19364_StrilloComunicatoUfficiale_lstAllegati_Allegato_0_upfAllegato.pdf) si legge: “Preliminarmente occorre precisare che la contestazione rivolta ai deferiti non riguarda presunti ed indimostrati accordi illeciti o, comunque, non attiene al contenuto di telefonate intercettate. La violazione dell’art. 1 comma 1 CGS ipotizzata nei loro confronti si realizza nel fatto di aver costituito un sistema di comunicazioni telefoniche riservate intrattenute tra il Moggi ed il Fabiani, da una parte, e gli associati AIA di cui al presente procedimento, dall’altra. Risulta, infatti, che in prossimità dei sorteggi, nonché successivamente al loro svolgimento, e in prossimità delle gare e successivamente ad esse sono intercorsi contatti tra le utenze nella disponibilità del Moggi e del Fabiani e quelle nella disponibilità degli altri deferiti, associati AIA”. Moggi, Fabiani e gli arbitri vengono puniti per aver violato l’art. 1 del CGS, non per l’art. 6. […] Pertanto sono assolutamente inconferenti i rilievi mossi dalle difese degli incolpati in ordine alla mancanza di prova di accordi illeciti raggiunti attraverso le comunicazioni telefoniche operate con le schede telefoniche estere. Se ci fosse stata prova di accordi illeciti ben altra sarebbe stata la contestazione rivolta ai deferiti”.
Personalmente sono d’accordo con questa decisione. L’atto fraudolento non può essere il semplice contatto (seppur aggravato dalla riservatezza che è un forte indizio in negativo per gli imputati). Qui sta il punto focale su cui deciderà la Cassazione. Infatti, secondo i giudici del rito ordinario, il reato è di pericolo. Secondo Stanziola invece per condannare un arbitro serve che questo compia un atto fraudolento ed è per questo che assolve Pieri, pur possedendo la SIM svizzera (intercettabile e probabilmente non a lui intestata).
Comunque l’associazione a delinquere è un delitto contro l’ordine pubblico e qualcuno dovrà spiegarmi in quale modo questa associazione lo poteva mettere in pericolo (l’ordine pubblico) con delle frodi sportive…
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ruggierodistaso ha detto:
Ma…. a parte che questa sentenza è successiva a quelle che ho citato io, Moggi è stato punito per tanti art. 1 tutti considerati atti tali ad ottenere un vantaggio in classifica e quini violazione dell’art. 6. Da qui, violazione degli art. 1 e 6.
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ruggierodistaso ha detto:
Per quanto riguarda, ma ne parleremo in altri articoli visto che questo è un prologo agli articoli che seguiranno sull’associazione a delinquere, l sentenza d’appello Giraudo ha semplicemente prevalso la tesi che, poiché non si sa cosa si sono detti nelle svizzere gli arbitri e Moggi e non ci sono altre intercettazioni in chiaro, gli arbitri vanno assolti.
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franctosc ha detto:
Calciopoli, hai ragione, è stata l’occasione per straordinarie innovazioni legislative. Per esempio, io non ho ben capito perchè la CAF (ossia Commissione di Appello Federale) che è, come dice già il nome, una corte d’appello, in Calciopoli abbia fatto il primo grado, mentre la Commissione Disciplinare che doveva fare il primo grado è sparita…
Ma vengo al contenuto dell’articolo.
Prima parte. E’ giusto che la giustizia sportiva possa giudicare per fatti passati anche chi nel frattempo si è dimesso. Nulla da dire, passiamo avanti.
Per quanto riguarda l’introduzione dell’illecito associativo nel codice di diritto sportivo, anche qui nulla da dire in linea generale, al di là del fatto che nel concreto di Calciopoli io non vedo nessuna associazione, ma di questo ne abbiamo parlato tante volte, e non è oggetto di questo articolo.
Per quanto riguarda le ampie citazioni di Borrelli e Palazzi, sono tutte cose che lasciano il tempo che trovano, perché si basano su un’analisi di materiali assolutamente parziali. E’ come se io studiassi Roma antica conoscendo solo il Colosseo, ma non i Fori imperiali nè il Palatino, il Campidoglio, ecc.
Vengo al tema cruciale, ossia art. 6 e art. 1. Per quello che ho capito io, al di là di tutte le supercazzole degne di Amici miei scritte dai giudici, l’art. 1 sanziona la slealtà, ma si è ritenuto che tante violazioni dell’art. 1 abbiano finito per alterare la classifica, e quindi costituire una violazione dell’art. 6. Perchè quando si dice che alla Juve non sono stati contestati illeciti si intende che non sono stati contestati illeciti su una singola partita. Quindi in fondo l’art. 6 come somma di tanti art. 1 viene fatto uscire dalla porta per farlo rientrare dalla finestra. Il problema alla base del ragionamento dei giudici è molto semplice: in realtà per determinare un’alterazione della classifica, ossia una violazione dell’art. 6, non bastano semplici slealtà, ma bisogna per forza alterare il risultato di almeno una partita, ossia commettere un art. 6 legato a una singola partita. Si possono scrivere tutte le supercazzole giuridiche possibili, ma questo punto non può essere aggirato.
Infine, l’articolo contiene un errore non da te. La giustizia sportiva è totalmente indipendente dalla giustizia ordinaria, non è affatto vero che recepisce una sentenza ordinaria e la trasforma in sentenza sportiva. Per cui l’equivalenza frodi sportive del processo ordinario = articolo 6 nell’eventuale nuovo processo sportivo non sta in piedi. In realtà il processo sportivo valuterebbe nuovamente i materiali di prova, e potrebbe benissimo arrivare a conclusioni diverse da quelle a cui è giunto il tribunale di Napoli. Intanto registriamo che nel procedimento menzionato da Felix le schede svizzere sono state considerate art. 1 e non art. 6… quindi o i giudici sportivi si bevono la panzana per cui le chiamate a Biscardi sono prova della frode, oppure tante delle frodi sportive del tribunale di Napoli diventerebbero art. 1 e non art. 6… alla fine il punto è sempre quello, il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino e dell’art. 1 in art. 6… il miracolo può riuscire a fronte di una furiosa campagna di stampa che chiede di fare pulizia, ma a mente fredda e a distanza di anni dai fatti riusciranno comunque i giudici a compiere tanti arrampicamenti sugli specchi come fu fatto allora?
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ruggierodistaso ha detto:
“La giustizia sportiva è totalmente indipendente dalla giustizia ordinaria, non è affatto vero che recepisce una sentenza ordinaria e la trasforma in sentenza sportiva”, è qui che casca l’asino, ne parleremo meglio quando affronteremo il problema della revisione, nel frattempo ti informo che l’art. 39 C.G.S., altro non è che l’unione dell’art. 630 del codice di procedura penale e del 395 del codice di procedura civile.
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Felix Arpino ha detto:
L’ordinamento sportivo non è avulso da quello ordinario ma ne fa parte. Tuttavia la condanna penale per il capo q) – quello per la grigliata prima di Juventus – Udinese – che non è assolutamente un illecito sportivo (ex art. 6) fa capire l’assurdità della corrispondenza tra la frode sportiva nell’ordinamento statale e l’illecito sportivo nell’ordinamento sportivo. Facciamo veramente ridere. Non ha senso tramutare sempre una frode in un illecito.
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Claudio Nannetti ha detto:
Concordo con Felix, l’ordinamento sportivo è una specie di sottolivello di quello ordinario, ha la sua sfera di competenza (assegnazione e revoca dei titoli sportivi ad esempio) ma non può prescindere dall’ordinario. Diciamo che si presta (e qui ha ragione Francesco) ad evoluzioni più o meno astratte e a qualche forzatura. E qui torniamo al gioco di sponda dei media e (ahimè) al personaggio Moggi, che incarna il perfetto colpevole. Senza questi due elementi difficilmente avrebbe retto la teoria della classifica alterata senza alterare le partite. Il senso della corrispondenza tra frode sportiva (ordinario) e illecito sportivo (CGS) è, immagino, la prevenzione del reato. Per quanto riguarda il 39CGS vi ricordo il caso Guardiola: condannato nel 2001 dalla giustizia sportiva (giocava nel Brescia) per doping, fu poi processato anche dalla giustizia ordinaria e assolto in appello. I suoi avvocati dimostrarono l’inadeguatezza dei metodi di controllo antidoping del 2001 e questo fatto nuovo portò alla cancellazione della condanna sportiva.
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ruggierodistaso ha detto:
Vi dirò la verità: sulle prime volevo mettere la parte anche delle motivazioni del TAR in cui si spiegava cosa significasse alterare le classifiche senza alterare le partite, poi, dato che già così ho superato il limite di 7 pagine di word che mi sono imposto l’ho omesso. Oltretutto ne ho già parlato in un altro articolo. Fa niente, lo riscriverò, non c’è problema. Per quanto riguarda la revisione, Claudio ha colto nel segno. Guardiola è stato assolto dalla giustizia penale e poi sulla base dell’assoluzione ottenuta dalla giustizia penale ha potuto ottenere la revisione del processo sportivo ex art. 39 C.G.S. e la conseguente assoluzione dalla giustizia sportiva.
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bjh ha detto:
“1) La Juve ha risposto per responsabilità diretta degli illeciti commessi da Moggi perché quando un dirigente di una società calcistica commette degli illeciti in favore della società quest’ultima ne risponde sempre per responsabilità diretta con sanzioni più gravi e non per responsabilità oggettiva di cui ne risponde la società quando a commettere gli illeciti è un tesserato qualsiasi della società come è successo all’Inter con Oriali nel caso “Passaportopoli”. ”
Scusa Rug, questi i fatti come avvenuti ma vorrei capire se tu non vedi un minimo di incoerenza (minimo si fa per dire) nelle tempestive e strarigorose evoluzioni legislative calciopolesche e il conservatorismo spinto per non dire l’autocastrazione del giudizio sul caso Oriali.
Tra l’altro in quel caso l’alterazione del bene protetto era certa (anche se visto il non grande apporto di recoba è un’alterazione di segno algebrico incerto)
Diversamente si dovrebbe almeno sottolineare che la grande “stima” di Narducci per la sopraffina mente criminale di Moggi era mal riposta….bastava assumere un Oriali qualunque dandogli carta bianca e oggi la juve avrebbe 2 scudetti in più (o meglio avrebbe almeno 2 scudetti in più), una B in meno e qualche decina di milioni di euro in più da spendere a parità di comportamenti tenuti.
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ruggierodistaso ha detto:
@ BJH come tu ben sai sulle sentenze penali qualche volta mi spingo ad esprimere una opinione personale, quelle sportive mi limito a riportarle, interpretarle e lascio a voi i commenti.
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bjh ha detto:
e penalmente cosa imputeresti ad Oriali e chi ha fatto ciò che ha fatto lui? non è frode sportiva quella? e se lo è ci si salva solo per la distinzione tra oggettiva e diretta che in casi del genere è ridicola. Beninteso che in quel caso io all’inter avrei dato solo qualche punto in classifica senza far danni eccessivi.
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ruggierodistaso ha detto:
Volendo si, volendo anche gli orologi di Sensi lo sarebbe.
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Paolobxl ha detto:
il mondo di Moggi” costituito da “… una rete di rapporti così fitta e così completa, pronta a riempire tutti gli spazi che di volta in volta si aprono …” la cui esistenza “… non è frutto di occasionalità, quanto di costanza e perseveranza protratte nel tempo
Questo passaggio rinchiude tutta l’assurdità di Calciopoli
Scusate ma cosa vuol dire??
é un complimento fatto a Moggi per le sue capacità manageriali???
,( se un direttore sportivo di una grande squadra non fa queste cose
NON é UN MANAGER)
Mai contraddizione fu cosi’ palese
Non esiste DS o general manager che non ne sia colpevole
Hanno modificato le leggi ma Il Lotito fa di peggio e nessuno lo tocca
Il Ghirardi del Parma
I Cellino i Galiani Ferrero e compagnia bella
Si sono scritte pagine e pagine per incastrare Moggi se ne sono pensate di tutti i colori per provare la sua colpevolezza
ma il tempo é galant uomo é sta dando ragione a Moggi poco importa cosa dirà la sentenza finale
Lo scempio attuale in FGC ne é la prova
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ruggierodistaso ha detto:
Il problema è che Moggi aveva rapporti con il mondo arbitrale e non con tutti i procuratori del mondo.
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bjh ha detto:
“Moggi è stato punito per tanti art. 1 tutti considerati atti tali ad ottenere un vantaggio in classifica e quini violazione dell’art. 6. Da qui, violazione degli art. 1 e 6.”
Tutti considerati atti ad ottenere un vantaggio in classifica ma nessuno preso singolarmente poteva portare al 6 altrimenti gli davano il 6 sulla singola furbata.
Rug a me pare proprio quel che si definì illecito strutturato che poi non è altro che vedere nel complesso più atteggiamenti ritenuti scorretti…..non lo troverei nemmeno tanto pazzesco se fatto a bocce ferme e non come evoluzione legislativa cucita su misura per il caso in esame.
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ruggierodistaso ha detto:
non so che rispondere, ti ho detto, io mi sono limitato a spiegare in maniera breve le sentenze, i commenti li lascio a voi.
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franctosc ha detto:
“Volendo si, volendo anche gli orologi di Sensi lo sarebbe”.
In questo commento, Rug, hai colto perfettamente la questione. Volendo. Siccome si voleva far fuori Moggi si è interpretata la legge in un certo modo. Quando c’era bisogno di salvare Sensi o Oriali la legge è stata interpretata in un altro modo. Esemplare della distinzione responsabilità diretta / oggettiva è il modo utilizzato per salvare la Fiorentina dalla B malgrado l’unico illecito su singola partita sia stato addebitato alla Fiorentina. Diego Della Valle non ha cariche ufficiali nella squadra, per cui tutto l’illecito è stato addebitato a lui, e alla Fiorentina è stata data solo la responsabilità oggettiva, come se lui fosse un semplice tesserato, e non il patron che caccia i soldi. Volendo si poteva mandare la Fiorentina in B, invece volendo è stata salvata. Questo predominio della volontà si chiama arbitrio, ed è l’esatto contrario della giustizia. La legge si applica ogni volta in maniera diversa a seconda di quello che decide il “sentimento popolare”.
Comunque, Rug, è facile esaltare le sentenze, e poi nei punti in cui sono più inaccettabili lavarsene le mani dicendo che tu le riporti soltanto e i commenti li lasci a noi…
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ruggierodistaso ha detto:
In più circostanze credo che sia trapelato da parte mia un generico astio per la giustizia sportiva, troppo veloce, fatta per sancire una squalifica ad un giocatore con la prova televisiva ma così son bravi tutti, non certo per analizzare e sanzionare un evento di così tale e complessa portata. Questo articolo ha solo una funzione introduttiva agli articoli sul 416 c.p. o 9 C.G.S. che dir si voglia tanto è lo stesso. Sulle sentenze penali mi sono permesso di esprimere anche critiche (vedi il capo b), quelle sportive mi limito a riportarle, ad analizzarle qualche volta e niente di più. Esprimere opinioni su sentenze penali che non ci sono mai state, vedi Sensi, non credo che sia il caso, volendo tutto si può fare, magari un giorno potremmo anche divertirci a fare il processo a Facchetti atteso che il figlio sia d’accordo.
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felixarp ha detto:
Meno male che ti sei permesso di esprimere delle critiche, soprattutto su Udinese – Brescia, visto e considerato che esiste una condanna inaccettabile in appello ad un arbitro che non ha fatto nulla. E invece si è preso 10 mesi di condanna penale. Penale, non sportiva. La Cassazione riuscirà nell’ardua impresa di annullare questa condanna di frode sportiva? Tra l’altro, io non riesco nemmeno a capire i pm. Ma è normale chiedere la condanna per quel capo d’imputazione? Ma non si vergognano? Dopo quello che è stato accertato in dibattimento? Secondo me non l’hanno mica ancora capito che Pinzi, Muntari e Di Michele non erano diffidati. Dov’è ‘sto atto fraudolento che la legge prevede? Brutta pagina per la magistratura. Peccato che in pochi lo sanno.
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franctosc ha detto:
Rug non hai risposto sul punto che io ponevo. Non si può parlare di sentenze che non ci sono state, tipo Sensi, ma bisogna parlare del fatto che su fatti del genere si è scelto di non procedere, no? Come si dice spesso anche parlando degli arbitraggi, quello che conta non è tanto la singola decisione, ma l’uniformità di giudizio. Ecco, nel caso del reato di frode non esiste l’uniformità di giudizio, esiste una legge molto ampia che si applica a seconda di come gli gira al singolo giudice… questo è il punto, ma se tu guardi solo alle sentenze emesse, e non allarghi lo sguardo, il punto cruciale lo perdi di vista.
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ruggierodistaso ha detto:
Il problema del reato di frode sportiva è che è recente, 1989, ha poca giurisprudenza ossia poche sentenze della cassazione, è anche per questo motivo che Torino e Napoli hanno valutato in maniera diversa fatti analoghi se non addirittura gli stessi. Per cui, su Sensi e su Oriali si è valutato diversamente, il diritto si evolve sulla pelle degli altri, basta guardare come ha deciso in maniera diversa il TAS di Losanna sui casi Webster e Matuzalem che sono due casi uguali.
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bjh ha detto:
“Per cui, su Sensi e su Oriali si è valutato diversamente, il diritto si evolve sulla pelle degli altri,”.
quel differentemente ha del farsesco proprio perchè poi pur di condannare non solo si è applicata la legge ma la si è modificata allo scopo di far reggere la condanna. In pratica la possibilità di evoluzioni in corso d’opera unita alla sconfinata discrezionalità dei giudici (e con calciopoli s’è visto che la discrezionalità può partire già dalle indagini ) fa si che, santi a parte, si possa condannare a piacimento ed assolvere (o dare buffetti) altrettanto a piacimento e se questo vale nell’ordinario non si può certo sperare che in ambito sportivo le cose vadan meglio.
In ogni caso la distinzione tra responsabilità diretta ed ogettiva così come viene applicarta è a favore dei furbi….i fessi agiscono in prima persona, i furbi san bene come limitare i danni. Se un magazziniere agisce senza mandato dall’alto nelle aziende normali succede che nessuno se lo fila e se si scopre viene cacciato a legnate….nel calcio pure un segnalinee del campo da gioco possa ottenere miracoli agendo per conto suo
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ruggierodistaso ha detto:
Come al solito non posso darti che ragione caro BJH, il punto su cui però ti devo correggere è uno, non è che la legge sulla frode sportiva si sia modificata per condannare Moggi, diciamo che si è evoluta l’interpretazione e questa interpretazione per cui anche i contatti con il mondo arbitrale in genere sono atti tali da mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla norma ossia il leale e corretto svolgimento della gara, varrà anche per il futuro e che quindi l’archiviazione Maddalena è sostanzialmente sbagliata in punta di diritto.
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felixarp ha detto:
Beh, ma questo dipende da cosa deciderà la Cassazione. Magari secondo i giudici di legittimità i contatti silenti non sono sufficienti a costituire l’atto fraudolento previsto dal reato, che alla fine è quello che scrive Stanziola che assolve Pieri. Quindi c’è un conflitto: si dovrà decidere se dare ragione ai giudici dell’ordinario o a quelli dell’abbreviato.
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franctosc ha detto:
Che varrà anche per il futuro ovviamente è una cosa tutta da dimostrare, per il momento è solo una tua opinione.
In occasione della partita Napoli – Juventus dello scorso gennaio diversi organi di stampa hanno parlato di contatti telefonici De Laurentiis – designatore per esprimere condanna dell’arbitraggio di quella partita e auspicare che quella terna arbitrale venisse fermata a lungo… e non mi risulta che la pur solerte procura di Napoli abbia aperto alcuna inchiesta sull’episodio…
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ruggierodistaso ha detto:
no, se la cassazione conferma questo orientamento giurisprudenziale esso varrà anche per il futuro.
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franctosc ha detto:
no, invece i giudici continueranno a decidere se aprire un’inchiesta o meno in modo totalmente discrezionale… se quell’orientamento deve valere deve valere sempre, ma io non credo proprio che si aprirà un’inchiesta tutte le volte che c’è notizia di un contatto squadre – organi arbitrali…
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ruggierodistaso ha detto:
e qui si ragiona sul futuro, staremo a vedere, io la palla di cristallo non ce l’ho
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Pingback: Calciopoli: l’illecito sportivo della Juventus
Walter Brambilla ha detto:
Ma la giustizia sportiva non è anch’essa sotto l’egida della Costituzione? La Costituzione non vieta la retroattività penale?
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